Abbiamo imparato, durante queste puntate, a scegliere gli altoparlanti, a vedere quali sono le misure indicative per poter realizzare il filtro crossover e come riuscire a piegare ben bene la risposta secondo quello che riteniamo essere il filtro acustico giusto da ottenere. Oggi vediamo, per la prima volta, come far convivere due altoparlanti e soprattutto cercherò di trattenervi dal ricercare la migliore risposta all’incrocio senza guardare altro. Come mai? Leggete la sequenza quasi tragicomica che si ripete puntualmente quando non abbiamo fatto un lavoro completo….
Quando ho iniziato ad occuparmi di filtri crossover non c’era internet, non c’erano gli esperti da tastiera e non c’erano nemmeno troppe informazioni. I computer costavano quanto un miniappartamento ed era impensabile misurare gli altoparlanti, acquisire la risposta, men che meno la fase acustica, mentre l’impedenza poteva essere ricavata per punti all’oscilloscopio. Io all’epoca avevo pochi ma ben conosciuti “miti” che viceversa in quelle condizioni quasi impossibili progettavano dei signori filtri che facevano suonare degli ottimi diffusori acustici.
Più erano complessi i filtri e più sembrava che il progettista fosse bravo, con i primi timidi sguardi alla rotazione di fase del carico e le prime riprese a terzi di ottava in ambiente. Ebbi allora l’intuito, o più probabilmente l’incoscienza, di pensare che si potesse teorizzare poco senza strumenti precisi ed al di sopra di ogni sospetto, strumenti che io dovevo per forza procurarmi, perché ritenevo controproducente “pensare” ad Avellino e fare le verifiche a Roma, nel laboratorio della rivista per la quale scrivevo. Poi sono venuti i sistemi di misura computerizzati, degli strumenti velocissimi (PC con processori 286-287!) e molto pratici perché potevano, in qualche modo, aggirare la chimera della camera anecoica.
Parallelamente ho iniziato a fare misure accurate sulle reti di filtro ed ho iniziato semplicemente a… ricredermi su tutte le panzane dei “guru” dai tanti crossover teorici e poca, pochissima pratica. Ancora oggi ci sono riviste che di un filtro crossover descrivono soltanto l’ordine elettrico e mandano anatemi se gli ordini del passa-basso e del passa-alto non sono gli stessi. Noi al di qua dell’oceano sappiamo bene che contano poco l’ordine e la pendenza del filtro elettrico rispetto all’ordine e la pendenza del filtro acustico, perché è stato ripetuto da qualcuno tante di quelle volte che avete acquisito il concetto per abitudine. Proviamo ora a ragionare più da vicino sull’incrocio, sulla sua regolarità sull’asse e di come questo risultato possa condurre dritto dritto alle sorprese peggiori.
Andiamo insomma a vedere di che stiamo parlando. Prima però di parlare di filtri crossover vi invito a sgombrare la mente dalle risposte in frequenza, dalle cognizioni puramente teoriche e da quello che si ripete stoltamente da anni. Immaginiamo viceversa di trovarci in una buona sala d’ascolto con i diffusori ben posizionati e con un impianto di buona caratura. Soltanto una volta che vi siete seduti in posizione di ascolto ed avete sentito i componenti che avete scelto dovete pensare ad un filtro crossover ed i risultati li dovete ascoltare da lì, e non dal laboratorio. In sala di ascolto contano i fatti, quelli veri, che vi serviranno a convincere voi stessi e gli altri della bontà del diffusore. Non esiste una rete crossover, nemmeno la migliore mai progettata, che non debba poi essere messa a punto in sala di ascolto con il miglior strumento di valutazione che abbiamo, gratis, in dotazione: le orecchie.
Chi afferma di fare soltanto reti “strumentali” senza bisogno di ottimizzazione “manuale” o è un mostro proveniente da un altro pianeta o sta avanti, maledettamente avanti a noi tutti. Il problema che dobbiamo risolvere e per il quale credo e spero di potervi dare una mano, è quello di arrivare strumentalmente a fare l’ottanta per cento del lavoro in modo da ridurre quanto più possibile l’ottimizzazione ad orecchio, sapendo dove mettere mano con cognizione di causa. Sulla scorta della mia esperienza, che vuol dire degli errori che io stesso ho compiuto quando ero giovane ed entusiasta, posso spiegare il mio punto di vista e la mia visione della progettazione delle reti di filtro.
Dalla teoria alla pratica
Immaginiamo, tanto per partire col piede giusto, di avere scelto due altoparlanti sulla scorta di misure accurate, di avere definito il carico acustico, le prestazioni ottenibili e di dover “solo” progettare il filtro crossover. Inutile in questa sede illustrare marchi e tipi di altoparlanti, che ci servono solo per esempio. L’altoparlante per la via bassa si estende ben oltre la frequenza di incrocio, mentre il tweeter può gestire una potenza elevata senza distorcere sin dai 2.200 Hz, un limite inferiore che abbiamo giudicato congruo con le prestazioni del woofer. Forti delle prime idee fatte all’ascolto degli altoparlanti convochiamo AFW, decidiamo le pendenze ed il filtro crossover e ci diamo da fare per piegare la risposta del woofer nell’intorno della frequenza che abbiamo deciso per l’incrocio.
Il filtro del woofer è costituito da un terzo ordine elettrico e da una rete di compensazione dell’impedenza, che nella misura preventiva abbiamo visto salire fin oltre il picco della risonanza. In realtà la rete di compensazione è stata appena stravolta per potere meglio adattare la piegatura della risposta ai nostri voleri, che viceversa virano verso il quarto ordine LR. Il filtro del tweeter è un terzo ordine secco, con una sola resistenza di piccolo valore in serie all’induttanza, tanto per meglio definire lo smorzamento della risposta ed il suo andamento anche al di sotto della frequenza di incrocio. Alla fine, stanchi ma contenti, ecco la risposta dei componenti filtrati e la risposta totale. Per ottenere un andamento così corretto all’incrocio ho dovuto piegare la risposta del woofer a 2.100 Hz quella del tweeter a quasi 2.300 Hz. Il risultato è notevole come risposta, che appare regolare e ben piana.
Uno sguardo alla Figura 1 ci mette quasi di buon umore, tanto che senza ulteriori informazioni e credendo di aver finito il lavoro ridisegniamo il crossover in bella copia come in Figura 2 e dopo l’ennesimo sguardo estasiato ai grafici andiamo, fischiettando la nostra personale interpretazione dei “Carmina Burana” in versione swing, ad assemblare i filtri. I componenti ovviamente sono poggiati direttamente per terra e saldati, per realizzare il cosiddetto “malloppone” che serve per le prove di primo ascolto e le successive modifiche veloci. Appena data tensione all’elettronica di potenza avvertiamo subito che qualcosa non va e corriamo a controllare le saldature dei componenti. Purtroppo è tutto in ordine: quel filtro suona così.
Per eccesso di zelo ripetiamo la misura della risposta in frequenza: perfetta! Iniziano i primi dubbi che partono da domande semplici tipo: “Come mi chiamo? Cosa faccio qui? È il microfono che non funziona o la scheda di misura? L’amplificatore funziona correttamente? Mi sento bene?”… Se disponessimo di un nostro diffusore di riferimento sarebbe utile ascoltarlo brevemente, giusto per capire se l’impianto funziona bene o meno. Ma è tutto in ordine ed il problema è costituito soltanto dal crossover. Probabilmente la colpa è di AFW che non va come dovrebbe, delle macchie solari che producono interazioni distruttive o di qualche accidente. Insomma, le pensiamo tutte perché non vogliamo ammettere che c’è qualcosa di sbagliato.
A questo punto facciamo un’analisi più critica iniziando a girare attorno ai diffusori mentre suonano. Sistemati a meno di mezzo metro dal componente possiamo ammettere che suoni bene, aumentando ancora di più il nostro stato confusionale. Non serve a niente lavorare ancora ed è meglio andare via. A mente fresca facciamo un’analisi cruda: manca la scena, la gamma media ogni tanto si sposta di lato e sparisce completamente e manca un filo di gamma alta, che quando c’è sembra pure un po’ tagliente. Insomma, dove è l’errore? Bene, a questo punto, prima di pensare seriamente di cambiare hobby e darsi alla coltura dei sedani del Colorado, facciamo una cosa: andiamo a misurare la risposta della dispersione orizzontale partendo da 5° ed arrivando a 60° fuori asse. Quello che ascoltiamo in ambiente, posto che in gamma media quest’ultimo ci metta poco del suo, è la media di tutte le risposte che abbiamo rilevato sommate insieme.
Se potessimo prendere tutte le risposte, sommarle frequenza per frequenza e farne la media, otterremmo un risultato molto simile alla risposta effettuata a 45°, come quella visibile in Figura 3, ove ritroviamo con discreta precisione tutti i difetti del diffusore riscontrati all’ascolto. Questa, secondo la mia esperienza, è la fase più delicata del lavoro. È iniziata semplicemente girando attorno al diffusore e ci lascia intravedere con buona precisione dove intervenire. Attenzione, però, che una volta imparata questa lezione sulla quale, lo ammetto, ho un po’ ironizzato, è facile elaborare una metodica operativa appena più complessa, che prevede la misura della risposta in asse e quella a 45° in modo da poter realizzare il filtro con la risposta in asse e verificarlo con le risposte fuori asse dei componenti. Spesso, tanto per farvi un’idea, notiamo che la risposta in asse di un tweeter all’estremo alto della banda mostra un picco di tre o quattro decibel.
Bene, non si tratta di un errore del costruttore ed il picco va osservato nella misura fuori asse: se a questo picco corrisponde una attenuazione molto pronunciata, vuol dire che la somma delle due risposte, asse e fuori asse, produrrà un andamento dolcemente calante, così come deve essere la risposta in ambiente, senza che ci siano picchi attorno ai 10-12 kHz che porterebbero ad una resa troppo fredda. Un picco a queste frequenze va eliminato o ridotto, con una cella RLC che non va calibrata soltanto sulla risposta in asse ma dall’integrazione delle varie risposte sul piano orizzontale o, con minore precisione, sulla risposta fuori asse di 45°. Si tratta di una tecnica abbastanza immediata che ci consente, come vedremo la prossima puntata, di avvicinarci molto alla corretta risposta in ambiente, riducendo drasticamente le operazioni di rifinitura ad orecchio. Anche l’andamento delle misure delle fasi acustiche eseguite tra asse e fuori asse ci permette di definire in parte la definizione di uno stage corretto, ma per discutere di queste particolarità costruttive dobbiamo ancora migliorare le nostre conoscenze.
Gian Piero Matarazzo
da AUDIOreview n. 350 aprile 2014