Editoriale AudioReview 368

Ai ragazzi non interessa più…

Quante volte ci siamo sentiti ripetere questa frase: “I ragazzi non hanno alcun interesse per l’hifi”. L’affermazione in sé non è falsa, perché riflette una realtà piuttosto diffusa. L’errore è nel comportamento che ne consegue da parte degli operatori del nostro settore. Mi riferisco ai vari produttori, distributori e rivenditori, che di fronte a questa situazione hanno concentrato tutte le loro energie verso gli appassionati di sempre, perché i giovani non sono interessati. Questo atteggiamento porta ad errori clamorosi, un esempio illuminante ci viene dal mondo dell’editoria. Nel 1996 diverse case editrici declinarono l’offerta di una scrittrice allora sconosciuta affermando testualmente: “Ai ragazzi non interessano più streghe e maghi”.  La scrittrice era J. K. Rowling e quello che proponeva loro di pubblicare si è poi rivelato un successo editoriale senza precedenti qual è la fantastica saga di Harry Potter.

Adattarsi alla situazione del mercato ha senso fino ad un certo punto, oltre il quale diventa indispensabile cercare di costruire una realtà diversa. Io credo che il settore dell’alta fedeltà sia arrivato a questo punto e credo anche che ci siano i presupposti per una evoluzione importante del settore. Indirizzare l’intero mercato sui soli prodotti d’elite, come hanno fatto alcuni produttori e rivenditori, significa assecondare una spirale che porta al ridimensionamento totale. Per uscire da questa spirale è necessario aprirsi al mondo e soprattutto ai giovani che ascoltano la musica con mezzi e modi enormemente migliorabili.

Lo scopo è chiaro e “nobile”, per chi crede nella positività del proprio impegno a favore della divulgazione della cultura del buon ascolto. Per questo, già a partire dal mese scorso, abbiamo chiesto ai più appassionati dei nostri lettori di farsi “Ambasciatori del buon ascolto” organizzando nel loro piccolo delle dimostrazioni casalinghe ad uso e consumo di parenti ed amici, al fine di divertirsi e divertire con l’ascolto di buona musica. Niente di più di quello che molti già fanno; la novità è nel supporto di AUDIOreview, cui potrete inviare foto e descrizione di quanto avete realizzato e gratificare così il vostro impegno.

Un po’ come già accade con la rubrica “Il mio auditorium”, dove sta a voi lettori descrivere il vostro impianto e la vostra passione per l’alta fedeltà.
A proposito di cultura del buon ascolto, diciamolo con chiarezza: nel nostro “immaginario” di appassionati del bel suono, l’Alta Fedeltà è quell’insieme di tecnologie che partono dal supporto musicale – disco vinilico, disco ottico digitale ed oggi anche solo file informatico – e terminano con l’ambiente d’ascolto; anzi, spesso terminano con l’anello precedente, i diffusori. Tra questi due estremi si colloca tutto il resto e cioè i giradischi, i player di altro tipo, l’amplificazione ed ovviamente tutti i collegamenti necessari per connettere i vari componenti, nonché un numero ampiamente variabile di accessori di natura varia. In realtà sappiamo benissimo da sempre che le cose non stanno in questo modo poiché le fasi che precedono la produzione del supporto sono importanti almeno quanto tutto ciò che sta a valle di quello, e sovente lo sono molto di più, dato che nemmeno il più perfetto degli impianti può recuperare i danni legati ad una ripresa microfonica sbagliata, ad un mixing confusionario, ad un mastering che ricorre alla compressione ad ogni piè sospinto, ad una struttura di regia del suono che fa passare il segnale attraverso decine o centinaia di stadi di elaborazione. Lo sappiamo benissimo, ma normalmente lo tralasciamo come se fosse di nessuna importanza. Le ragioni di questo atteggiamento sono diverse, quella dominante è forse che ci piace pensare che sia la nostra esperienza e competenza della materia a determinare la bontà del risultato d’ascolto. Questo atteggiamento però, è illogico e può portare a dei paradossi. Un esempio molto banale: dareste credito a chi lodasse l’edizione vinilica di un certo lavoro sapendo che il relativo master era in effetti non un nastro magnetico ma bensì un master digitale?

Se siamo interessati ad ottenere il miglior suono possibile nel nostro ambiente d’ascolto non possiamo rimanere ignoranti rispetto alle modalità con cui sono stati realizzati i tanti titoli che il mercato mette a disposizione, ovvero a quel che avviene nella sala di registrazione e successivamente negli studi di regia. Ecco perché da parecchi mesi a questa parte abbiamo realizzato monografie verticali sulla materia, come quella – decisamente ponderosa, ma originale e foriera di risultati – sui modulatori per i segnali DSD (AR 358-359), ed ecco perché poi abbiamo avviato una serie di interviste con tecnici del suono al massimo livello internazionale. La prima è stata quella con Steven Wilson (AR 363), la cui attività in materia è tanto importante in assoluto quanto collaterale a quella sua primaria di musicista. Poi abbiamo proseguito con Christoph Franke, preparatissimo tecnico del suono dei Berliner Philharmoniker, intervistato da Stefano Corti su AUDIOreview 366.

In questo numero abbiamo un ulteriore passaggio fondamentale, ovvero l’intervista esclusiva ad un altro dei “miti” degli studi di registrazione, Robert C. Ludwig, meglio noto come “Bob”. Forse alcuni lettori non ne avranno sentito mai parlare, ma basta un’occhiata a volo d’angelo alla discografia da lui curata per rendersi conto che, invece, di suoni che hanno attraversato il suo banco di regia ne avete ascoltati tantissimi nel corso della vostra vita, probabilmente anche da svariati decenni a questa parte.
Buona lettura e, come sempre, buon ascolto.

Mauro Neri

Author: Mauro Neri

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