Editoriale AudioReview 441

Tempo zero

AudioReview 441

Anni fa, in un articolo su questa stessa rivista, mi sono trovato a riflettere su quella che poi ho chiamato “teoria del tempo zero”. Una riflessione scaturita dalla consapevolezza che qualsiasi impianto di riproduzione audio, anche il più prestante, non può far altro che rendere al meglio delle sue possibilità ciò che è disponibile sul disco, che rappresenta quindi il “punto di partenza”, l’imprescindibile presupposto iniziale (“tempo zero”) oltre la cui qualità è impossibile andare.

A lungo si è pensato che i solchi del vinile costituissero il tempo zero incondizionato, quel riferimento che molti ancora oggi reputano indispensabile elemento di valutazione di un impianto. Nelle mie riflessioni, gli altri supporti dell’epoca, nastri o cassette, non costituivano un riferimento per il tempo zero, anche per la consapevolezza di essere ben più mutabili nel tempo di un vinile ben conservato.

Il CD ha messo in discussione questo aspetto e dato uno scossone al microsolco alla luce di fenomeni meccanici come attrito o consunzione, inevitabili nel processo di generazione della musica per questo tipo di supporto. Il messaggio digitale, codificato secondo rigorosi standard a 16 bit e 44.100 Hz, quello sì, è perfettamente uguale a sé stesso in ogni esemplare, in ogni momento della sua storia.

La nuova tecnologia non altera però la teoria del tempo zero: ogni impianto di riproduzione tenderà al massimo a riprodurre ciò che è memorizzato sul disco, vinile o CD che sia, ma una cosa il CD ci ha insegnato: dopo anni di crescita, tecnologica e filosofica, degli impianti di riproduzione audio, per fare un ulteriore vero salto di qualità bisognava ripartire dal tempo zero, dalla tecnologia del contenuto del brano musicale, digitale. Come? Incrementandone la qualità attraverso più alte risoluzioni e definizioni. E ponendo altre sfide agli elementi della catena audio.

Tra la corretta intuizione e la pratica, però, c’è di mezzo… il mercato. Decidere in che direzione andare, quali standard (e quindi brevetti) seguire, chi dovesse pagare le royalties a chi, ha scatenato una guerra su tutti i fronti. Sulla tecnologia, monobit (DSD) o multibit (PCM). Ma soprattutto sui supporti, quelli candidati a rappresentare il nuovo “tempo zero”: SACD o DVD-Audio (quest’ultimo scomparso quasi subito dall’orizzonte). Il SACD ha avuto la meglio e per molti rappresenta l’insuperato “principe” dei supporti, ma il vero vincitore di questa sfida è stato un altro: la musica “liquida”, ovvero senza supporto. Quindi i file musicali hanno preso il posto dei supporti nelle dotazioni di molti appassionati. Al contempo si è aperto il mercato del download di brani ad alta risoluzione: gli appassionati chiedevano maggior qualità per il “tempo zero” e le case discografiche ne avevano possibilità e mezzi. Sono nati apparecchi di derivazione informatica, NAS per memorizzare intere biblioteche di brani, reti e protocolli per movimentarli e riprodurli, lettori di rete e DAC multistandard. Anche con la musica liquida, e con i file in alta risoluzione, la teoria del tempo zero rimane valida.

In 441 numeri, in AUDIOreview abbiamo analizzato la tecnologia della riproduzione musicale in ogni aspetto, introducendo nuovi campi di indagine, nuove misure, nuovi parametri d’ascolto. Abbiamo indagato sui vinili e sull’interfacciamento ampli-testine, sui CD e sulla risoluzione effettiva dei DAC, sulla musica liquida e sul jitter. Ma anche su ogni altro componente e fenomeno che concorre alla migliore riproduzione della musica. E abbiamo recensito decine di migliaia di dischi, perché la musica è sempre al centro dell’attenzione.
Ora è il momento dello streaming. È la tendenza attuale nell’ascolto della musica. Grazie a internet e alle reti di trasmissione dati che abbiamo in casa e nelle nostre tasche, è possibile accedere a sterminate biblioteche musicali per ascoltare musica in qualsiasi momento, in ogni posto e, se disponibile, anche in alta risoluzione.

Una tendenza confermata a Sintonie, la prima manifestazione hi-fi del 2022 di cui parliamo su questo numero, dove gli espositori, accanto a giradischi, CD e NAS, hanno dimostrato i loro impianti anche con brani tratti da servizi di streaming.
Una tendenza che mette in crisi la teoria del tempo zero. Perché il “brano” musicale non è più uguale a sé stesso. Perché dal “master” all’ascolto ci sono passaggi inusuali, spesso automatizzati quasi sempre non documentati che alterano il brano originale, quello del tempo zero.

Allora rompiamo le regole e andiamo a ridefinire il nostro tempo zero, come se fossimo alle prese con un Kobayashi Maru di trekkiana memoria. Andiamo a vedere che succede al file musicale, quello definito dopo un lungo lavoro dall’artista e dalla produzione e nel master e prima che arrivi al nostro impianto tramite uno dei servizi di streaming. Entriamo negli studi dove l’oggetto del tempo zero viene creato e confrontiamo il master, quello vero, con il file che i servizi di streaming ci offrono. E definiamo gli elementi che ci aiutano a capire cosa scegliere e quale musica riprodurre. Magari spostando indietro il punto “zero” del nostro impianto al master proposto dagli studi. Magari scegliendo il nostro punto zero nella prima copia su nastro del master originale (possibilità che abbiamo analizzato su AR 431). Magari ripartendo dalla prima edizione di un vinile. O magari scegliendo consapevolmente il nostro servizio di streaming, dove “zero” non vale “0”.
Rocco Patriarca

Author: Redazione

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