
Introdurre un apparecchio McIntosh cercando di essere originali è un compito difficile. Si tratta di un marchio iconico, che dal 1949 ha fatto la storia dell’alta fedeltà e sul quale è stato scritto praticamente tutto da tutti. Potrei ripercorrerne a grandi linee l’avventura ma sarebbe un esercizio pleonastico vista la dimensione di status symbol oramai assunta, degna di una maison di alta moda e riconosciuta anche da chi non ascolta musica con dedizione audiofila. Né intendo usare la consumata frase “non ha bisogno di presentazioni” e cadere nel paradosso di non dare il giusto valore a chi si è creato sul campo una posizione di leadership.
Permettetemi invece di andare al sodo e annotare che il protagonista di questa prova, l’MA8950, è un amplificatore McIntosh di alta gamma, da ben 200 watt di potenza per canale, nonché uno degli integrati più completi del mercato, da trattare con riguardo e senza cadere nella retorica.
Progetto e costruzione
L’MA8950 costituisce di fatto un aggiornamento del fortunato MA8900. Gli ingegneri di Binghamton hanno lavorato su alcuni parametri per migliorare le prestazioni e la fruibilità attraverso una incrementata capacità dinamica e l’aggiornamento della sezione digitale.

È costruito secondo concetti che McIntosh porta avanti da tempo, ispirati agli amplificatori a valvole che hanno reso famoso il marchio fin dalle sue origini. Utilizza autotrasformatori di uscita, ad esempio, una dotazione di cui gli amplificatori a stato solido di regola fanno a meno. Inoltre, non è realizzato come la maggior parte delle elettroniche moderne il cui telaio è una scatola in lamiera, dimensionata per contenere le schede necessarie.
I suoi amplificatori integrati hanno una struttura più complessa, con un telaio di base alto pochi centimetri, come si usava sugli amplificatori valvolari per lasciare liberi trasformatori e tubi. Sull’MA8950 questa base è realizzata in acciaio lucidato a specchio, altro richiamo ad esemplari della sua tradizione, e da questa emergono effettivamente i trasformatori di alimentazione e gli autotrasformatori di uscita, incapsulati in parallelepipedi e affiancati tra loro quasi a formare un blocco unico.
Tutta la parte anteriore in pratica è occupata dai “ferri” che danno un pesante contributo agli oltre trenta chilogrammi di stazza totale. Sul versante posteriore c’è una sezione chiusa, alloggio per una parte dei circuiti, che termina ai lati con i dissipatori degli stadi finali esposti fino al profilo del telaio di base. Nel complesso l’aspetto è simile a quello degli amplificatori a stato solido di cui sopra ma l’effetto visivo è assai più peculiare e la solidità della struttura notevole. L’estetica del frontale è inconfondibile e costituisce un tassello fondamentale del mito. Per tradizione è una lastra di vetro serigrafata nella faccia posteriore. Roba d’altri tempi come la radica e la pelle nei cruscotti delle macchine.

Ai lati abbiamo due modanature in alluminio satinato che fanno contrasto con il colore nero lucido del cristallo. I controlli sono costruiti da manopole old style, cromate e zigrinate sul bordo e nere nella parte centrale, e tasti che sembrano interruttori a bilanciare ma in realtà attivano dei moderni switch. Due strumenti ad ago a destra e a sinistra, retroilluminati con una luce blu, e il logo del marchio che invece splende di una tonalità tenue di verde sono la consacrazione di un’estetica intramontabile, probabilmente riconosciuta perfino da chi non ha mai posseduto un amplificatore. Quasi come unica concessione alla modernità troviamo un display a matrice di due righe, sempre con illuminazione verde, che occupa la parte bassa del frontale.
Internamente la distribuzione dell’elettronica è abbastanza complessa, con funzioni separate su varie schede. Lo spazio inferiore, quello incluso all’interno della base, prevede perfino una ulteriore separazione in due zone orizzontali, una anteriore e una posteriore. Nella prima troviamo due circuiti di alimentazione, nella seconda invece c’è quella che possiamo considerare la motherboard del circuito audio. Tutto lo spazio utile viene sfruttato come dimostra il setto divisorio tra le due parti che funge da supporto e dissipatore per il ponte raddrizzatore ad alta corrente degli stadi finali. […]
Il video dello “smonty” di AudioReview lo trovate sul nostro canale youtube.
Un assaggio delle misure:
Un occhio esperto, in un quadro misure, riconosce un McIntosh in pochi secondi. Ci sono parametri e comportamenti caratteristici cui questa casa è fedele da decenni e che nel tempo si sono sia consolidati che raffinati. Uno di questi riguarda i residui di distorsione, estremamente bassi, tanto da risultare sistematicamente inferiori a -80 dB (0,01%) a tutte le frequenze ed a qualsiasi livello di prova fino alla potenza nominale.

Se nei grafici frequenza/distorsione e potenza/distorsione si possono vedere curve dipende solo dal fatto che alcune includono i piccoli residui di rumore (THD+N), che essendo pressoché stabili hanno un peso maggiore ai livelli di prova bassi, ma nei test che includono le sole componenti armoniche l’unica “emersione” rispetto alla soglia base dello 0,01% riguarda l’estremo basso nella misura dinamica a 100 e 200 watt: 0,025% massimi a 20 Hz e 200 watt, mentre l’estremo acuto rimane virtualmente indistorto come rare altre volte capita di osservare.

Altro comportamento caratteristico è la piegatura all’indietro nel test di Caratteristica di Carico Limite per le uscite da 8 ohm nominali… […]

Inseriamo a seguire le immagini che illustrano l’analisi circuitale dell’amplificatore integrato McIntosh MA8950






(L’articolo completo, redatto da Andrea Allegri, e le misure complete con l’analisi circuitale, di Fabrizio Montanucci, le trovate sulla rivista AudioReview n. 449)