Tecnologia delle emozioni
Siamo sulle pagine di AudioStar, rubrica dedicata alle eccellenze nell’ambito di una rivista – AudioGallery – a sua volta dedicata al meglio dell’audio.
Quando si ha a che fare con un prodotto AudioStar, è difficile procedere con ordine e razionalità, giacché le emozioni tendono a prendere il sopravvento. Mi preme precisare che la scelta degli AudioStar non scaturisce da considerazioni precostituite antecedenti la prova, bensì per… acclamazione da parte di un panel invero ristretto – il Direttore, il sottoscritto e qualcun altro – che si trova d’accordo nel ritenere il prodotto meritevole del riconoscimento.
Requisito essenziale è che l’eccellenza sia espressa al contempo in molteplici ambiti: prestazionale, tecnologico, sonico, estetico; inoltre, che il prodotto sia innovativo, che segni un distacco rispetto a quello che c’era già prima della sua introduzione. Il Linn next-generation Klimax DSM soddisfa questi requisiti e lo fa con una autorevolezza tale da rendere persino difficile approcciare alla sua narrazione da parte del fortunato recensore.
Il DAC/streamer scozzese è infatti arrivato a casa mia dopo essere stato sufficientemente a lungo nell’impianto del Direttore da averne provocato, se non un innamoramento, qualcosa di simile. Meno viscerale e più ragionato.
E già questo mi è sembrato un interessate punto di partenza. Poiché sono trascorsi alcuni giorni dall’annuncio dell’invio al momento in cui il Klimax DSM è arrivato da me, ho studiato un po’ il prodotto per rinfrescarmi le idee.
Intanto non mi sbagliavo sul nome, che ricordavo di avere sentito già parecchio tempo addietro. In effetti, stranamente, questo modello ne sostituisce un altro omonimo, ma del tutto differente in termini estetici e di dotazione tecnica, che è poi uno dei primi – se non il primo – DAC/ streamer risalente al lontano 2007.
Un po’ di storia
Nel 2009 Linn Products annunciò la cessazione della produzione dei propri lettori di Compact Disc in un momento nel quale quel formato sembrava godere di ottima salute e del favore del pubblico. Bisogna ricordare che all’epoca Linn realizzava dei lettori assai apprezzati dalla critica e dal mercato, tra cui il Sondek CD12. Alla base di quella scelta vi era la convinzione del fondatore di Linn, Ivor Tiefenbrun, a quel tempo amministratore delegato dell’azienda, che il CD avesse i giorni contati. Per questo già nel 2007 aveva introdotto il lettore musicale di rete Klimax DS.
Oggi gli streamer sono diventati mainstream, ma non lo erano affatto nel 2007, quando la maggior parte degli audiofili – me compreso – non sapeva neppure cosa fossero. Peraltro il suono di quegli apparecchi era piuttosto scadente per via, tra l’altro, del basso bitrate: molti andavano a 96 kbps laddove il CD va a 1.411 kbps. Nel pieno rispetto della filosofia Linn quella vecchia incarnazione del Klimax è rimasta in produzione sino allo scorso anno, essendo stata oggetto nel corso degli anni (2011, 2015 e 2016) di una serie di aggiornamenti che hanno riguardato prevalentemente la sezione DAC, e che sono stati puntualmente resi disponibili come upgrade per i modelli più vecchi. Qui non può non scattare l’applauso per la serietà del costruttore scozzese che preserva con questa politica l’investimento, ingente talvolta, dei suoi clienti. Non fa eccezione a tale regola la sezione DAC del modello in prova denominata Organik dalla quale parto per descrivere le tecnologie che popolano questo fantastico apparecchio.
Costruzione
Fino alla precedente generazione, denominata Katalyst, Linn impiegava per le sue sezioni di decodifica A/D dei chip realizzati da terze parti, AKM in particolare. Lo sforzo progettuale si concentrava sulle alimentazioni, clock, stadi di uscita, ottimizzazione del flusso dati, ecc. Tuttavia questo approccio deve essere stato considerato dagli ingegneri scozzesi al termine delle sue possibilità di sviluppo e pertanto, con il nuovo Organik, hanno deciso di passare ad un sistema costituito da un processore FPGA (Xilinx Artix-7 Field Programmable Gate Array) che si occupa del sovracampionamento, modulazione del segnale e volume, seguito da una sezione DAC a discreti che utilizza 16 interruttori (Flip Flop) separati per canale per convertire il segnale digitale in analogico. Gli altri costruttori che ricorrono ai componenti discreti nelle sezioni di conversione tendono a realizzare DAC R2R; Linn afferma invece che:
“… Organik è unico nella sua progettazione, realizzazione e implementazione. È un cambio di paradigma non più vincolato al requisito stringente della massima accuratezza nella selezione ed abbinamento dei componenti, come accade in un DAC R2R/ladder, ma il suo design innovativo è basato nel dominio del tempo”.
Al fine di realizzare percorsi del segnale i più brevi possibile è stato sviluppato un complesso circuito stampato a otto strati a doppia faccia grazie al quale i percorsi dal processore FPGA agli interruttori hanno tutti la medesima lunghezza, anche se questi sono inevitabilmente collocati a distanze fisiche leggermente diverse. Ogni interruttore ha la propria alimentazione locale e l’intero processo è controllato da un femto clock a jitter ultrabasso per ridurre al minimo gli errori di temporizzazione. Il risultato complessivo è un DAC con rumore e distorsione inferiori rispetto a quanto realizzato da Linn nel passato, ivi compreso l’apprezzato convertitore che equipaggiava il precedente Klimax DSM. Il Klimax DSM supporta il DSD256 e il PCM fino a 384 kHz/24 bit, mentre l’MQA, nelle sue diverse varianti, non è contemplato. Osservando i video presenti sul sito della Linn ho appreso, non senza sorpresa, che l’azienda realizza in casa le complesse PCB cui facevo riferimento e provvede anche al montaggio dei componenti, attività che in genere vengono demandate ad aziende esterne specializzate.
Passiamo ad altro, cioè al contenitore. Normalmente nelle recensioni ci si limita a dire che esso è ben realizzato, robusto, esteticamente valido, ergonomicamente curato. Bene, nessuna di queste definizioni, presa singolarmente, è sufficiente a descrivere la bellezza di quello del Linn Klimax DSM e ciò per diversi motivi. Se osservate attentamente la foto in basso a sinistra forse potrete farvene una vaga idea: il corpo principale è realizzato a partire da un blocco di alluminio scavato dal pieno con setti interni che separano le sezioni analogica, digitale e di alimentazione, quest’ultima è a sua volta racchiusa in una sorta di “sarcofago” posto a ridosso del pannello frontale. L’obiettivo è quello di ridurre al minimo le eventuali interazioni elettromeccaniche indesiderate che potrebbero incidere negativamente sulle prestazioni. Inoltre, il cabinet è ulteriormente smorzato dall’interno per ridurre l’effetto delle vibrazioni esterne, obiettivo al raggiungimento del quale contribuisce la massa complessiva di ben 16,4 kg. All’esterno il livello di finitura è tale da farti sentire in colpa a collocare l’apparecchio in un mobile portaelettroniche. Io non me la sono sentita e l’ho sistemato su un vecchio tavolino della AudioTech, riesumato per l’occasione, dove il Klimax DSM si è lasciato ammirare durante la permanenza a casa mia.
In questa condizione privilegiata ho potuto apprezzare alcuni dettagli quali: l’assenza di viti (non sto scherzando, ce ne sono solo due sul posteriore), gli spigoli così perfetti da risultare quasi taglienti, il meravigliosamente leggibile display alfanumerico – niente grafica, please, l’austero design ne risulterebbe penalizzato – che si fonde con il pannello frontale che, a display spento, diventa uno specchio. Infine, l’elegante elemento di appoggio centrale che prosegue al di sopra del pannello superiore – quasi a “trafiggere” l’apparecchio – terminando con la manopola del volume realizzata in vetro tagliato con precisone assoluta, al cui interno sono posizionati cento (!) indicatori luminosi che si accendono a seconda del livello impostato.
Questo particolare mi è sembrato piacevole e reattivo allorquando viene utilizzato per regolare il volume, ma un po’ meno pratico nell’impiego come joystick per navigare nei menù gerarchici, dove l’app di controllo si è rivelata più comoda. Vicino ad esso, sullo spigolo frontale, vi sono sei bottoni, ognuno dei quali può essere programmato come collegamento (Pin) a una sorgente o ingresso musicale specifico. Io, ad esempio, ho collegato un bottone a Qobuz, un altro ad uno dei miei NAS e uno all’ingresso USB al quale avevo collegato un PC Audio. È un dettaglio intelligente che risulta molto pratico nell’uso quotidiano. Esistono due varianti di colore: la Silver giunta in prova e la Black. Entrambe presentano sul pannello superiore una sorta di motivo ornamentale costituito da un pattern circolare finemente inciso (vedi foto di apertura). Sulle prime mi sono chiesto che senso avesse, poi, leggendo, ho capito che si tratta di una sorta di richiamo all’incisione spiraliforme del disco in vinile. Come dire: “Ricordate che le radici di questa azienda sono nell’analogico, in particolare nel venerabile Sondek LP 12”. Ecco: se devo essere onesto questo dettaglio, osannato dalla critica internazionale, è l’unica cosa che non mi ha convinto in un quadro altrimenti entusiasmante. De gustibus, non è importante, quindi possiamo andare serenamente avanti.
Prima di descrivere il pannello posteriore devo precisare che del Linn Klimax DSM esistono tre versioni: quello che ho avuto in prova è pensato per essere utilizzato come sorgente digitale in una configurazione stereo a due canali. Può accedere alla musica attraverso la rete domestica (cablata preferibilmente, ma c’è anche il WiFi 802.11ac) da unità NAS o eseguire lo streaming utilizzando Tidal, Qobuz, Spotify Connect, TuneIn, Calm Radio. Per aumentarne la flessibilità c’è anche il Bluetooth (versione 4.2) e la connettività AirPlay 2. Può inoltre funzionare come endpoint Roon “ereditando” la certificazione Roon Tested della precedente versione. La variante AV aggiunge quattro prese HDMI 2.0 e una singola uscita e-ARC all’elenco delle funzionalità. Infine esiste la versione System Hub progettata specificamente per funzionare in una configurazione interamente Linn, collegandosi al resto del sistema tramite la connessione proprietaria Exakt. Tornando al pannello posteriore possiamo cogliere come sia diviso orizzontalmente in due sezioni, che corrispondono poi alla logica costruttiva del posizionamento delle rispettive schede: su due piani paralleli divisi da un setto metallico orizzontale. Gli ingressi digitali sono quelli che ci si aspetta di trovare su una macchina di questo livello: due coassiali S/PDIF, un Toslink, un USB Tipo B, un Ethernet (1.000BASE-T RJ45) e un Ethernet ottico (SFP socket) che ho avuto modo di provare sulla dorsale in fibra della mia rete. Gli ingressi analogici sono tre: un XLR e due RCA; qualora vi steste chiedendo a cosa servono, beh, è chiaro: il Linn Klimax DSM non viene presentato come un semplice streamer ma come un Network music player and integrated pre-amplifier. Lo si può quindi considerare a tutti gli effetti un preamplificatore al quale poter collegare sorgenti digitali ma anche analogiche, in grado di pilotare direttamente l’amplificazione di potenza. Come si può osservare nella foto a pagina 39 in basso gli ingressi analogici fanno capo ad una sezione di conversione ADC, posta su una scheda dedicata, che affianca quella del DAC Organik e che insieme sovrastano l’altra scheda, denominata Core, che gestisce tutti gli altri aspetti della macchina.
Software
I vari ingressi dei quali vi ho riferito sono attivabili tramite un telecomando in plastica, che controlla anche altre funzioni, in verità esteticamente sottotono rispetto agli standard estetici della macchina. Ritengo tuttavia più probabile che il fortunato utente di un Linn Klimax DSM opti per l’utilizzo della app di controllo Linn (per iOS, altrimenti Kazoo per Android, PC e Mac), che si presenta simile alla arcinota Kazoo e comunque decisamente ben fatta. Ho apprezzato, ad esempio, la possibilità di configurare attraverso di essa i bottoni presenti sul frontale della macchina, o attivare/disattivare le sorgenti a disposizione; io che utilizzo solo Qobuz e un paio di NAS configurati per servire dati in UPnP, ho potuto disabilitare tutto il resto ottenendo così un’interfaccia semplice e “ritagliata” su misura. Ho inoltre apprezzato l’elegante integrazione dei metadati offerti da Qobuz, tale da non farmi sentire eccessivamente la mancanza di Roon con il quale il Klimax DSM si è comunque comportato perfettamente.
Da quel che sono riuscito ad evincere dalla documentazione tecnica la Linn immagina per i suoi prodotti uno scenario nel quale il cliente si rivolge al dealer per la configurazione della macchina acquistata secondo le proprie esigenze specifiche. Se però ci si vuole spingere ad un livello più approfondito di configurazione – indipendentemente dal ruolo di rivenditore o cliente – bisogna utilizzare l’applicazione Konfig (Windows/MacOS), oppure accedere mediante web browser al proprio account Linn dove si potrà aggiungere il componente sul quale operare dal link Manage system. In entrambi i casi sarà possibile accedere a diverse pagine di configurazione ed effettuare gli eventuali aggiornamenti del firmware e una serie di altre attività tra le quali definire il nome della macchina, abilitare/disabilitare ingressi o uscite, definire il comportamento all’avvio e allo spegnimento, le varie modalità di funzionamento del display, ecc.
Sempre da questa pagina è possibile accedere alla funzionalità Room Designer dove si può inserire, disegnandola sul PC, la geometria e le finiture del proprio ambiente di ascolto; sulla base di tali dati e dell’esatto modello dei propri diffusori, il software Space Optimization 2 provvederà ad adeguare l’emissione del Linn Klimax DSM, in modo da ottimizzarla rispetto ai parametri acustici della stanza. Possiamo considerare questo software una sorta di sofisticato sistema di equalizzazione e ritardo digitale che può contribuire a minimizzare i problemi introdotti dalla forma e dai materiali da costruzione della stanza di ascolto.
Contrariamente a quanto solitamente accade con sistemi DRC (Digital Room Correction), anziché effettuare delle rilevazioni del comportamento del sistema audio in ambiente mediante un microfono, l’approccio Linn richiede al rivenditore o all’utente finale di inserire i dettagli sulla forma esatta della stanza, con le esatte dimensioni e il posizionamento di eventuali aperture (finestre e porte). In un altro passaggio si comunica al programma quali sono gli altoparlanti che si stanno utilizzando scegliendoli tra una nutrita lista di modelli dei produttori più importanti, nonché il loro posizionamento. Sulla base di questi dati il software online, che comunica con il DSM via rete, elabora un particolare filtro “ritagliato su misura” la cui efficacia l’utente finale può immediatamente valutare effettuando delle prove di ascolto a confronto.
Come facilmente prevedibile lo Space Optimization 2 funziona solo alle basse frequenze poiché è qui che si manifestano la maggior parte dei problemi derivanti dall’interazione tra l’ambiente e i diffusori. La finalità di tutto ciò è quella di ottimizzare il posizionamento pratico degli altoparlanti piuttosto che ricercare quello ideale. Detto in altri termini: la maggior parte degli audiofili non dispone di un ambiente dedicato all’ascolto, conseguentemente non può posizionare gli altoparlanti nel punto ideale della stanza per ovvi motivi di praticità rispetto alle condizioni d’uso quotidiano. Space Optimization 2 si pone l’obiettivo di risolvere tale problematica di convivenza e lo fa in modo efficace, permettendo anche di scegliere tra impostazioni della gamma bassa più piatta o più piena.
Ascolto
L’ascolto del Linn Klimax DSM è stato condotto in diverse modalità che hanno comunque tutte visto l’impiego dei diffusori Vivid Audio Kaya 90 pilotati dai finali monofonici Lamm M1.2. La prima configurazione testata è stata quella che ha visto lo streamer/ DAC scozzese esibirsi anche nel ruolo di preamplificatore, dunque direttamente collegato ai finali e con il controllo del volume attivo. Nelle altre due configurazioni, a me invero più congeniali, il ruolo del pre è tornato ad essere affidato ad uno “fisico”, nella fattispecie, alternativamente, al mio Lamm L2 Reference e ad un OTL/OCL della Allnic Audio modello L-8500. Quanto al cablaggio, data la caratura del protagonista della prova, non mi sono fatto mancare nulla ricorrendo agli AudioQuest ThunderBird di segnale, William Tell Zero di potenza e Tornado di alimentazione. Visto che di streamer di rete si tratta, preciso che lo switch utilizzato è un Fidelizer EtherStream. Piccola premessa: sul setup digitale, lo ammetto, ho un atteggiamento un po’ da “puzza sotto al naso”, come dicono dalle mie parti. Insomma, sono così convinto della qualità di quel che ho in casa, che la mia predisposizione nei confronti dei prodotti digitali che arrivano in prova non è esattamente accomodante.
Un signor DAC (PlayBack Design MPD-8) collegato ad un paio di PC (grazie AudioLinux) con ruoli diversi, schede PCI con alimentazioni esterne dedicate, cablaggio parzialmente in fibra, diversi software, ecc. Insomma, un sistema complesso, che ha richiesto tanto tempo di messa a punto ed un discreto know-how. Bene, arriva il Linn Klimax DSM, lo collego, spingo il tasto Play e appena emette le prime note capisco che è al medesimo livello, che gioca nello stesso campionato del mio. Sicuramente l’immediatezza e la praticità mi hanno sbalordito. Per non dire delle rotelle della calcolatrice che ho in testa che, inevitabilmente, si sono messe a girare. Se uno guarda il prezzo di questo prodotto rabbrividisce (a meno di far parte di qualche oligarchia); però, se vado a fare i conti dell’arsenale che negli anni ho messo in campo per il mio setup digitale non è che le differenza sia poi tanta. Vabbè, non pensiamoci. Prima di parlare del suono vorrei porre l’accento su un altro aspetto: la stabilità del Linn Klimax DSM e la linearità della sua interfaccia utente.
Durante la permanenza in casa mia non si è mai bloccato, non ho mai dovuto resettarlo, riavviarlo; non ho mai assistito a quelle pause angoscianti, tipiche dei prodotti ad alto contenuto informatico, dove non sai se sta “pensando” o se si è semplicemente inchiodato. E ancora: le app e i software su PC sono così semplici che li capirebbe anche il più refrattario tra gli utenti. Il collegamento alle sorgenti, sia locali che remote, è immediato e anche se si utilizzano software di terze parti, mConnect di Conversdigital ad esempio, il Klimax DSM continua a funzionare alla grande. Segno che l’esperienza maturata in tanti anni in questo settore ha dato i suoi frutti. Veniamo al suono: in apertura scrivevo di quelli che sono i “tratti distintivi” di un prodotto AudioStar e del fatto che quel titolo, al di là dei meriti tecnici, bisogna guadagnarselo sul campo. Ecco, il Klimax DSM, almeno per quel che mi riguarda, ha impiegato non più di un paio d’ore per convincermi a schiacciare il Golden Buzzer, come fanno nella trasmissione televisiva Italia’s Got Talent. Il perché potrei riassumerlo citando la prima traccia del primo disco mandato in esecuzione: What you didn’t say, tratta dall’album Silent Light del chitarrista Dominic Miller (ECM). Il brano inizia con una chitarra acustica che ripete per alcune volte la stessa frase seguita, dopo un po’, da una percussione molto bassa. Nient’altro. Bene, quelle poche note di chitarra, riprodotte dal Klimax DSM, sono diventate un’opera d’arte: non solo perché erano lì, davanti a me, tangibili, luminose, dense, ma anche perché mi hanno costretto a riascoltarle decine di volte scoprendo dettagli che non avevo colto nell’ascolto precedente. E non sto parlando di un’orchestra, ma di un solo strumento!
In un suo recente post Paul McGowan, CEO di PS Audio, ha fatto riferimento all’idea di inner detail (dettaglio interiore), ovvero quella capacità di svelare gli aspetti più reconditi che caratterizzano un suono, come se lo si stesse ascoltando/osservando dall’interno. L’assenza di questo aspetto porta ad un suono che non sarebbe corretto definire “sfocato”, perché in realtà non lo è, ma a qualcosa che McGowan sintetizza con una analogia:
“Sfocato significa anche attenuato e il suono non è assolutamente attenuato. Forse una parola migliore è confuso o caotico come quando si tenta di ascoltare una conversazione in una stanza affollata dove non c’è perdita di focalizzazione. Ma c’è invece una perdita di intelligibilità”. Se le cose stanno così, il Klimax DSM ha tra le sue carte migliori la capacità di rendere intelligibile il dettaglio, di svelare strati su strati di particolari che normalmente restano nascosti. Tutto questo non va a discapito della godibilità, tutt’altro, si passano ore e ore ad ascoltare musica senza nemmeno accorgersene, trasportati in una dimensione di assoluto godimento.
Faccio un altro esempio: la traccia From Gagarin’s point of View tratta da Live in Gothenburg dell’Esbjörn Svensson Trio (ACT Music), che inizia con un solo di contrabbasso suonato da Dan Berglund prima che il tema principale venga esposto. Durante quei primi, meditativi minuti è possibile apprezzare tutte le sfumature armoniche dello strumento, del metallo delle corde sfregate dall’archetto, ma oltre a ciò si viene letteralmente trasportati nell’ambiente in cui si è svolta la ripresa grazie alla risalita alla luce di una infinità di informazioni ambientali a bassissimo livello che, francamente, non avevo mai notato prima d’ora. Ancora: nel Concerto per violino e orchestra in re minore op. 47 composto da Jean Sibelius, nell’interpretazione di Leonidas Kavakos con la Lathi Symphony Orchestra diretta da Osmo Vanska, il suono del violino fino al minuto 1:25, cioè quando entrano gli altri archi, è capace di tenerti con il fiato sospeso per naturalezza, tridimensionalità, ricchezza armonica e una tensione che si scioglie appunto quando il resto dell’orchestra subentra, riempiendo lo spazio dietro al solista e fornendo una solida fondazione all’impalcato sonoro.
Conclusioni
Non vado oltre nel racconto delle mie impressioni d’ascolto consapevole del fatto che anche Andrea Della Sala dirà la sua. Per quanto riguarda le considerazioni economiche sarei fortemente tentato di sfilarmi, lasciando l’incombenza al Direttore, più avvezzo del sottoscritto alla frequentazione dei listini “pesanti”. Mi limiterò a dire questo: è ovvio che parliamo di cifre impegnative. Tuttavia nel costo è compreso: un preamplificatore, uno streamer, un DAC, un sistema integrato software e – cosa da non trascurare affatto – la certezza di un investimento che durerà, almeno, una ventina d’anni grazie alla policy di upgrade della casa scozzese. Specialmente con il digitale, non è cosa da poco.
Giulio Salvioni