La sezione del catalogo McIntosh dedicata alle amplificazioni è, notoriamente, sempre stata molto ricca, ma l’attuale offerta che si fa forte di tredici amplificatori finali, variamente assortiti tra configurazioni mono, due canali e multicanale, valvolari e a stato solido, affiancati per giunta da sei integrati, la definisce come quella che se non è la più fornita in assoluto, certamente contende il primato a pochissimi altri.

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Ma d’altra parte quello del­l’amplificazione è il settore merceologico da cui origina il DNA del marchio americano, che inizia ad essere conosciuto, riconosciuto ed apprezzato proprio in seguito allo sviluppo di una particolare configurazione per lo stadio di uscita degli amplificatori di potenza, a quel tempo (1949) soltanto valvolari. Schema circuitale, ovviamente, straprotetto da un buon numero di brevetti, che verrà poi utilizzato in moltissimi degli amplificatori usciti dalle linee di produzione di Binghamton, il cui ruolo di incubatrice di buone idee ha portato ai numerosi successi di una presenza che dura ormai da 60 anni.

Agli appassionati del marchio, ma anche ai curiosi di storia dell’alta fedeltà, consiglio vivamente una capatina sulle pagine web di Roger Russell, che in McIntosh ha rivestito per anni il ruolo di direttore del dipartimento di Ricerche Acustiche. L’ultimo “muscoloso” esemplare della Casa americana su cui ho avuto il piacere di mettere le mani, nove mesi fa, è stato il poderoso MC 1.2KW che, già dalla sigla denuncia chiaramente quale sia la sua peculiarità: in questo periodo, però, non sono rimasto con le mani in mano, ma ho semplicemente spostato l’attenzione, giocando con alcune produzioni McIntosh di altra natura, in particolare preamplificatori e lettori, oggetti, ancora, di grande soddisfazione. Il tempo era dunque maturo per una nuova scossa di pura potenza e così si è materializzato l’MC252.

Classico McIntosh…

Eccolo qui, dunque, con il suo doverosamente ampio frontale che immediatamente lo caratterizza come appartenente alla Casa d’oltreoceano: c’è il pannello rigorosamente nero con le scritte in oro e la tradizionale retroilluminazione e ci sono anche i due, altrettanto classici, wattmetri con l’ormai universalmente noto sfondo azzurro. Al centro, leggermente in rilievo, una fascia verticale, su cui è impresso il logo del costruttore e che ospita anche i due LED del circuito di protezione Power Guard, introduce un po’ di movimento nell’altrimenti piatta superficie del frontale, coadiuvata in questo dalle bordature metalliche dei lati verticali.

Le dimensioni sono abbondanti, come facilmente si può immaginare: la superficie frontale offerta allo sguardo occupa infatti circa 44×24 centimetri ed il peso è di circa 43 kg, ma d’altra parte, visti i dati di targa dell’amplificatore e, soprattutto, in conseguenza della topologia circuitale che prevede un trasformatore di uscita per ciascuno dei due canali, questi sono numeri del tutto normali ed anzi, tutto sommato, possiamo ancora parlare di realizzazione compatta. Gli unici organi di comando sono rappresentati dalle due manopole posizionate all’estremità del frontale, nella sua fascia bassa, e dedicate, rispettivamente andando da sinistra a destra, alla selezione della modalità operativa dei wattmetri, o all’accensione (eventualmente comandata da remoto).

La gran parte dello spazio retrostante il pannello frontale è occupato dai tre trasformatori: quello decisamente sovrabbondante destinato all’alimentazione dei circuiti e collocato in posizione centrale e i due di interfaccia verso i diffusori. Subito dietro, gli scatolati realizzati in rete metallica proteggono i circuiti elettronici dei due canali e, infine, un po’ di spazio rimane a disposizione delle prese di ingresso e dei robusti e maneggevoli morsetti per il collegamento dei diffusori.

Visto che i circuiti per i due canali sono montati in verticale, all’interno degli scatolati in rete metallica visibili dall’esterno, il volume interno allo châssis è relativamente poco occupato dai circuiti di alimentazione e dallo stadio d’ingresso.

Visto che i circuiti per i due canali sono montati in verticale, all’interno degli scatolati in rete metallica visibili dall’esterno, il volume interno allo châssis è relativamente poco occupato dai circuiti di alimentazione e dallo stadio d’ingresso.

… e classica realizzazione

In effetti, una volta stabilita la particolare topologia circuitale, l’amplificatore di potenza è indubbiamente il componente dell’intera catena audio caratterizzato dalla struttura concettuale più semplice. Pur nella sua peculiarità, principalmente dovuta all’impiego di un trasformatore per l’accoppiamento dello stadio di uscita con i diffusori, l’MC252 non fa eccezione alla regola e segue l’impostazione che i progettisti McIntosh hanno imposto agli amplificatori finali di potenza rilevante da qualche tempo in qua; la cosa si vede abbastanza chiaramente già dal tipo di componenti utilizzati nello stadio di uscita, la coppia 2SC5200/2SA1943 già vista, ad esempio, nell’MC 1.2KW (ma utilizzata anche in vari altri modelli), qui presente in sei esemplari per ciascuno dei due canali. E, d’altra parte, visto che questo tipo di circuito e questi componenti funzionano (e bene anche), per quale motivo cambiarli?

L’enorme trasformatore di alimentazione è seguito da una sezione di raddrizzamento sufficiente a garantire le intense correnti richieste dagli stadi finali, coadiuvata in questo dalla cella di filtro equipaggiata con una capacità di 27+27 mF: in fondo, il dato di targa parla di 250 W per canale che non sono per nulla pochi e che debbono essere serviti in maniera adeguata. Il circuito d’ingresso di questo poderoso finale accetta indifferentemente segnali single-ended o bilanciati ed offre anche lo sfasatore necessario al funzionamento nella configurazione mono a ponte, nel qual caso la potenza erogata raggiunge il notevole livello di 500 W; c’è, però, anche una seconda modalità mono (che può essere adottata con diffusori di impedenza particolarmente bassa), nella quale i due canali vengono semplicemente collegati in parallelo. La selezione tra i tre possibili modi di funzionamento (lo stereo e i due mono) si effettua per mezzo di un opportuno deviatore disposto tra le prese.

Per una maggiore flessibilità d’impiego, l’MC252 permette di collegare anche un preamplificatore con uscita bilanciata e, utilizzando il deviatore posto nelle vicinanze delle prese d’ingresso, può essere collegato a ponte. In questo caso la potenza raggiunge il valore di 500 W.

Per una maggiore flessibilità d’impiego, l’MC252 permette di collegare anche un preamplificatore con uscita bilanciata e, utilizzando il deviatore posto nelle vicinanze delle prese d’ingresso, può essere collegato a ponte. In questo caso la potenza raggiunge il valore di 500 W.

Come è d’uso con gli amplificatori di McIntosh equipaggiati con trasformatore d’uscita, i quattro morsetti permettono il collegamento di diffusori con impedenza di 2, 4 oppure 8 ohm (ovvero 1, 2 e 4 ohm in modalità parallela). Ovviamente anche questo nuovo modello è equipaggiato con le tecnologie di protezione sviluppate dalla Casa: la Power Guard, che confronta la forma del segnale in uscita con quello di ingresso e modifica in tempo reale la polarizzazione dei transistor finali, in modo tale che la loro zona di funzionamento si mantenga sempre ben al di sotto del “clipping” e la Sentry Monitor che scollega lo stadio di potenza in caso di sovrassorbimento. Per quanto di struttura relativamente semplice, il circuito dell’MC252 è tanto raffinato da permettere al costruttore di garantire un tasso di distorsione dello 0,005% anche per picchi di segnale pari al doppio di quello di targa: ovviamente su tutto lo spettro di frequenze audio, da 20 Hz a 20 kHz. Davvero niente male!

L’ascolto

Chi ha portato un pianoforte a coda nella sala della redazione? Ma soprattutto, come mai lo sento e non lo vedo? Occhi ed orecchie che rimandano al cervello messaggi contradditori, perché tutto va come se lo strumento fosse disposto di fronte a me, a circa tre metri di distanza, forse poco più, ed infatti, chiudendo gli occhi, è da lì che sento arrivare i suoni, le lunghe vibrazioni della corda libera, con quel leggero raschio metallico che caratterizza le ottave basse, il ricco contenuto di armoniche degli accordi e gli spigolosi trilli della parte destra della tastiera. E dietro a tutto le incredibili mani e la sensibilità di un grande Michel Petrucciani. Emozionante!

E come gli applausi sottolineano, evidentemente non sono il solo a provare questa emozione: la differenza è che le mani che stanno applaudendo appartengono a persone che erano lì, nella platea del teatro di Francoforte dove il concerto è stato registrato, mentre io sto ascoltando la trasposizione del discorso musicale su disco. Che per generare sensazioni così precise e forti deve essere stata fatta a mestiere, così come ben progettati devono essere anche i diversi componenti interposti tra il disco e l’ascoltatore: così, se della trasparenza, correttezza timbrica e velocità delle imponenti Dynaudio Sapphire non è lecito dubitare, si è portati in modo del tutto naturale ad ammettere che la sezione di potenza della catena suona decisamente bene.

Ora, se il blasone non è acqua, un buon comportamento dall’MC252 ce lo si poteva anche aspettare, ma il fatto è che questo McIntosh appare particolarmente sottile e prestante: quanto basta, comunque, per portare allo scoperto il dettaglio senza “impastarlo”, ovvero per generare la pressione sonora che giustamente compete alla banda inferiore dello spettro audio. Risoluzione, dunque, raffinata ma delicata, priva cioè delle asperità che in qualche altro caso (apparecchio), all’aumentare della quantità di informazione rivelata, produce fatica d’ascolto: con il supporto della generosità che, come è nel DNA delle amplificazioni americane, sicuramente non manca.

Se non ha difficoltà alcuna nel pilotare qualsiasi cosa venga collegata ai morsetti d’uscita (l’abbondante stadio di alimentazione e la ricca dotazione di transistor nello stadio finale serviranno pure a qualcosa, no?), per queste sue peculiarità il 252 vuole diffusori il più possibile neutri, bruscamente disposto, in caso contrario, a mettere in evidenza ogni e qualsiasi eventuale coloritura: la prova provata di questa affermazione viene dall’entusiasmante accoppiamento con le Dynaudio. Ma questo l’ho già detto.

Oltre a queste sue peculiarità più propriamente musicali, il massiccio finale McIntosh offre una rappresentazione geometrica dell’evento musicale tale da soddisfare in pieno le aspettative: l’orchestra presenta allora un fronte ampio, ma ben delimitato, e si estende in profondità quanto basta per far apprezzare la distanza tra gli archi della prima fila e le grandi percussioni sul fondo della sala. Al lato opposto, per così dire, si posizionano le incisioni in cui l’ensemble jazzistico, ad esempio, ma anche un Tom Waits d’annata, si esibisce su un palco poco sollevato da terra e di dimensioni contenute: gli strumenti sono tutti lì, disposti su una piccola superficie, ma non per questo sovrapposti, sempre e comunque facilmente riconoscibili e collocabili con precisione. È sotto a tutto, a rendere solido il tessuto musicale, questa sensazione di presenza, decisamente confortante e piacevole. Sicuramente un altro successo McIntosh.

Conclusioni

Ci ha fatto una buona impressione questo MC252, soprattutto per la capacità di riprodurre la musica per come è, senza aggiungere coloriture, semplicemente amplificando i contenuti della sorgente: come un qualsiasi buon amplificatore dovrebbe fare. La qualità costruttiva, inoltre, è quella di sempre di McIntosh, fatta di lavorazioni di precisione ed ottimi componenti, messi assieme senza risparmi, avendo come fine le pure e semplici prestazioni. E poi, ci ha fatto una buona impressione perché viene offerto ad un prezzo interessante, dove que­st’ultimo aggettivo deve essere, ovviamente, inteso in relazione alle quotazioni tipiche del marchio americano e non come valore assoluto perché, comunque, 6800,00 euro sono decisamente una bella cifra.
Giancarlo Corsi


 

Le Misure

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Andamento potenza/distorsione su carico di 8 ohm, frequenza 1 kHz, 0 dB pari a 250 watt su 8 ohm. In questo modello la distorsione scende blandamente all’aumentare della potenza di prova perché il rumore, seppur molto basso in assoluto, non è da record come in altri modelli della stessa Casa, ma il contenuto non lineare del residuo è comunque sempre irrilevante. La saturazione è (come sempre nei Mac) pressoché verticale e si nota molto bene l’intervento del compressore anti-clipping, che limita al 2.5% la distorsione per saturazioni addirittura di 5 dB.

Andamento potenza/distorsione su carico di 8 ohm, frequenza 1 kHz, 0 dB pari a 250 watt su 8 ohm. In questo modello la distorsione scende blandamente all’aumentare della potenza di prova perché il rumore, seppur molto basso in assoluto, non è da record come in altri modelli della stessa Casa, ma il contenuto non lineare del residuo è comunque sempre irrilevante. La saturazione è (come sempre nei Mac) pressoché verticale e si nota molto bene l’intervento del compressore anti-clipping, che limita al 2.5% la distorsione per saturazioni addirittura di 5 dB.

Andamenti frequenza/distorsione per potenze di uscita da 1 a 250 watt su 8 ohm. Come sempre per i finali McIntosh la distorsione armonica risulta estremamente ridotta, ma in questo caso sale anche molto debolmente con la frequenza, ed a qualsiasi livello di prova. Ben pochi finali nell’arco dell’intera storia dell’audio hanno garantito questo tipo di performance a questi valori di erogazione.

Andamenti frequenza/distorsione per potenze di uscita da 1 a 250 watt su 8 ohm. Come sempre per i finali McIntosh la distorsione armonica risulta estremamente ridotta, ma in questo caso sale anche molto debolmente con la frequenza, ed a qualsiasi livello di prova. Ben pochi finali nell’arco dell’intera storia dell’audio hanno garantito questo tipo di performance a questi valori di erogazione.

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Curve di carico limite in modalità monofonica. In ambo i grafici l’impedenza nominale di carico selezionata era 4 ohm, ma in un caso la connessione è di tipo serie (modalità “Bridged”, prese da 2 ohm in serie) e nell’altro è invece parallelo (modalità “Parallel”, prese da 8 ohm in parallelo). Oltre all’ottima performance in sé, va notata la sovrapponibilità da manuale dei risultati, che conferma sia la serietà del progetto che la precisione dei componenti impiegati.

Curve di carico limite in modalità monofonica. In ambo i grafici l’impedenza nominale di carico selezionata era 4 ohm, ma in un caso la connessione è di tipo serie (modalità “Bridged”, prese da 2 ohm in serie) e nell’altro è invece parallelo (modalità “Parallel”, prese da 8 ohm in parallelo). Oltre all’ottima performance in sé, va notata la sovrapponibilità da manuale dei risultati, che conferma sia la serietà del progetto che la precisione dei componenti impiegati.


L’ascolto di Marco Cicogna

Alta affidabilità sonora e costruttiva, questo potrebbe essere in estrema sintesi il giudizio sul bel finale McIntosh che ha arredato elegantemente la nostra sala d’ascolto, rampollo di rango e alfiere di una grande tradizione. Per l’occasione è giunto accompagnato da un preamplificatore di ultima generazione, dotato di un controllo di tono multibanda che da solo meriterebbe una accurata trattazione. Un quarto di chilowatt di potenza per canale, praticamente insensibili al variare del carico, fanno del Nostro un “pilota” generoso ed affidabile, anche per un’impostazione sonora ricca, densa e finemente articolata. Anche in casa McIntosh abbiamo assistito negli anni ad una evoluzione in chiave moderna ed aggiornata del concetto di “corretta riproduzione sonora”, puntando verso un sound ancora più definito e trasparente, pur conservando quel naturale calore che rende piacevole ogni ascolto.

Nella sala TechniPress avevamo a disposizione eccellenti sistemi di altoparlanti, unitamente ad un classico dei nostro ascolti come le grandi Chario, un riferimento utile soprattutto in abbinamento all’impegnativo software (di ideazione TechniPress) con il quale abbiamo avviato la danza del nostro finale. I due titoli dedicati alla grande orchestra (in collaborazione con la Reference Recordings) sono ormai ben conosciuti, ma ci tengo a sottolineare l’importanza di usare incisioni tra le più diverse sotto il profilo della resa sonora per saggiare il comportamento timbrico, dinamico e prospettico del sistema. Ci sono gli strumenti originali di Vivaldi (Concerto per “molti strumenti”), la grancassa profonda a sorreggere i fagotti nel celebre tema dell’“Apprendista Stregone”, i potenti tromboni nella loro prima ottava della “Notte sul Monte Calvo”, le percussioni della “Sagra della Primavera”, il lungo crescendo dei “Pini della Via Appia”, episodio conclusivo dei “Pini di Roma” di Respighi, che mettono alle corde anche i migliori. Nessuna particolare morbidezza elargita come una panacea; qui non si avverte l’esigenza di “modificare” l’impostazione sonora agendo su cavi e cavetti come se fossero equalizzatori.

La potenza appare esuberante, in grado di sollecitare sino in fondo i diffusori utilizzati, modulando senza incertezze sino alla prima ottava del grande organo. Per ascolti normali ne basta molta di meno, con i begli occhioni blu del Mac a danzare mollemente senza che gli aghi oltrepassino metà del VU meter, regalando una sensazione di suono completo ed avvolgente con le solide partiture sinfoniche.

Velocità, prontezza di attacco e smorzamento sono evidenziati dalla grancassa nella “Fanfare” di Copland (sempre dal nostro CD “Orchestra del XX Secolo”), mentre sembra voler abbattere le pareti il gioco di percussioni sull’attacco delle “Danze Polovesiane” di Borodin (nel recente disco Telarc). Per una più serena valutazione timbrica ci piace indugiare sui Concerti per corno di Mozart (Hogwood, Decca), presentato con smalto sano e corretto e gamma media finemente trasparente. Riascoltiamo con piacere la Bartoli nel CD “La Danza” (Decca), accompagnata al pianoforte da Levine, in una cantabilità vivace e brillante, ricca anche nella prima ottava. Nel SACD “America” (Telarc) Monty Alexander è sostenuto da una base ritmica incisiva, alla quale nulla manca per impressionare. Qui ci piace portare a fondo il nostro finale, con gli aghi pronti a seguire sino a fondo corsa l’andamento dinamico di questa incisione. Impatto notevole, fatica d’ascolto assente, ad indicare come un progetto ben riuscito coniuga basi classiche con le risorse più attuali della tecnologia. Bellissimo McIntosh.


  • Costruttore: McIntosh Laboratory Inc., 2 Chambers St.. Binghamton, NY13903 2699, New York, Usa. www.mcintoshlabs.com
  • Distributore per l’Italia: MPI Electronic, Via De Amicis 10, 20010 Cornaredo (MI). Tel. 029361101 – www.mpielectronic.it
  • Prezzo: Euro 6800,00

Caratteristiche dichiarate dal costruttore

  • Potenza: 250 W/canale (stereo); 500 W (mono).
  • Risposta in frequenza: 20÷20.000 Hz 0, -0,25 dB.
  • Distorsione armonica totale: 0,005% max.
  • Rapporto S/N: 112 dB.
  • Sensibilità: 1,6 V (single-ended); 3,2 V (bilanciato).
  • Dimensioni (LxHxP): 44,45×23,97×37,62 cm.
  • Peso: 42,87 kg

 

da AUDIOreview n. 300 aprile 2009