Randall Smith è un signore che nella vita si è guadagnato il pane (e immagino anche il companatico) facendo amplificatori. Per chitarre. I mitici Mesa Boogie, strumenti che per quasi un quarto di secolo ormai hanno dato la voce a migliaia di chitarre in tutto il
mondo.
Ma che ci fa allora qui un Randall Smith, uno che lavora per l’amata/odiata musica dal vivo? Un infiltrato, probabilmente.

II frontale del Mesa Baron con i due grandi occhi dei voltmetri.
Lo credo anch’io. Questo Smith ci ha provato più volte ad entrare nel chiuso e sacro mondo dell’hi fi dura e pura. Ci ha provato pare nel 1979. Con un prototipo, rimasto prototipo, che chiamò Baron. Più di tre lustri sono passati da quel giorno. Il Baron di allora non vide mai la luce (commercialmente parlando) perché, spiega Smith nella prefazione al bellissimo e prezioso manuale, un vero capolavoro di completezza e di rigore, “non trovai nesun fabbro disponibile a farmi lo chàssis secondo il mio disegno”.
Appagato dal successo dei suoi Mesa Boogie, Randall ci riprova alla soglia del terzo Millennio. Con un oggetto che si chiama ancora Baron ma che, spiega, è molto diverso da quello originario del 1979.
Il Baron di oggi è una macchina poderosa a vedersi, sovraccarica di comandi, regolazioni, costruita come un carro armato e carica di valvole come uno Sputnik.
Una macchina costruita attorno ad un concetto, quello del Tandem-Stage Imaging, che io non vi so spiegare ma che il suo progettista definisce come “la possibilità per l’ascoltatore di mettere a punto l’immagine del fronte sonoro”.
Se vi pare poco, smettete pure di leggere. Non ci capiremo mai. A me pare una sfida da far tremare i polsi.
C’è riuscito? Lo vedremo più avanti.
Il Mesa Baron è un bellissimo bestione nero, luccicante di valvole (ci sono dodici 5881 capaci di fare tutto quello che potete immaginare), che tradisce l’imprinting professionale del suo progetto per la muscolosa solidità che si avverte sotto la scatola. Con oltre trenta chili di circuiti non è forse il campione della categoria, ma li concentra in così pochi centimetri quadrati da essere probabilmente l’ampli con maggior peso specifico che mi sia mai capitato di incontrare.
Oltre a due voltmetri che servono a molte cose, in particolare aggiustare il bias e ad indicare la potenza di funzionamento, una sterminata serie di controlli fa del Baron una delle macchine da musica forse più complesse in assoluto.
La selva di interruttori, manopole, connessioni, è rigorosamente tutta duplicata, a testimonianza della struttura completamente dual mono di questo amplificatore. Ci sono persino due prese di alimentazione separate. Praticamente solo lo chàssis è comune ai due ampli.
Sul frontale i due voltmetri (possono essere spenti se la luce infastidisce i vostri maneggi erotici con la morosa di turno) sono incastrati tra due maniglioni opportunamente previsti per maneggiare la bestia, e sovrastano una fila di interruttori, due per l’accensione, due per lo stand-by
e due per i voltmetri, appunto. Due selettori consentono di regolare il bias e il balance.
Ancora una singolarità. Se la regolazione del bias “facilitata”, cioè effettuata tutta con l’ausilio di strumenti dell’ampli stesso non è più una novità, la regolazione del balance dell’ampli è qualcosa che ancora non avevo visto. E di ampli, ve lo assicuro, me ne sono passati molti tra le mani.
L’operazione è di una semplicità estrema. Si regola il selettore del voltmetro su balance, si girano due vitine fino a che la lancetta segna la posizione corretta ed il gioco è fatto. Bisogna ripeterlo però quattro volte per ciascuna terna di valvole: anteriore destra e sinistra, posteriore
destra e sinistra. La regolazione del balance (che è naturalmente applicata allo stadio di uscita) consente di mantenere inalterate le prestazioni dell’ampli, indipendentemente dall’invecchiamento dissimile delle valvole, il che vi permette ad esempio di sostituire senza troppi problemi quelle che dovessero danneggiare o invecchiare troppo presto.
Anche il bias si regola a triplette di valvole. Il che, converrete, semplifica molto il lavoro. La procedura ve l’ho appena descritta.
Se poi volete proprio saperla tutta potete anche scegliere il modo di messa a terra. Utile nel caso di ronzio persistente, evita di controllare a vuoto tutte le prese.
Ma la parte più interessante è anche quella più nuova, sostanzialmente nuova, del Mesa Baron ed è quel Tandemstate Imaging di cui vi ho parlato all’inizio. Che in pratica è la possibilità di configurare la macchina agendo sul tipo di funzionamento e sulla controreazione.
L’ampli Mesa può infatti funzionare completamente a triodo o a pentodo, le due configurazioni che ne definiscono anche le potenze erogabili, comprese tra i 55 e i 150 watt. Ma può essere utilizzato in una varietà di combinazioni diverse: un terzo triodo e due terzi pentodo o viceversa, ad esempio, con le potenze che mutano di conseguenza. Ma non è solo la potenza a mutare con il variare della configurazione. Questo lo sappiamo tutti, vero miei orgasmici hi-endisti? Perché muta la qualità del suono, più o meno aperto, più o meno rilassato, più o meno adatto a questa o quella musica. Il passagio dal triodo al pentodo o a qualsiasi altra combinazione si può fare “on the fly” come dicono gli americani (sempre lo
ro!). Un giochetto che eviterei di fare troppo frequentemente se avete a cuore i circuiti del Baron, ma che vi permette, con la complicità di qualcuno, di verificare quale abbinamento funzioni meglio con i vostri diffusori, il resto della catena e soprattutto il vostro ambiente di ascolto.
E non è finito. Anzi. Qui vengono le sorprese, soprese vere, sorprese grosse. La più importante delle qualità è la contro reazione regolabile. La controreazione è quel segnale in controfase che viene applicato al segnale in entrata per compensare eventuali distorsioni provocate dall’ampli stesso. Quando esiste è, naturalmente, fissa. Una controreazione di valore variabile è una specie di eresia audiofila perché uno solo può essere il valore corretto, gli altri sono inevitabilmente ulteriori distorsioni applicate al segnale, eventualmente già distorto di suo.
Quattro sono i valori di controreazione selezionabili: 0, 2, 4 e 8 ohm e sono liberamente associabili ad una o l’altra configurazione operativa delle valvole. In pratica è come avere in casa una decina e più di ampli, perché ogni volta che si sceglie un valore di controreazione o un modo di funzionamento, se ne cambia radicalmente il suono. Insomma uno, dieci, cento amplificatori in una sola scatola. Il sogno di tutti gli audiofili si è fatto realtà.
Le differenze, tra l’altro, non sono affatto piccole, si avvertono nettamente passando da una impostazione all’altra.

Le 22 valvole del Baron configurabili a piacere come triodi o pentodi.
Per la prova ho scelto le due soluzioni estreme, tutto triodo e tutto pentodo rispettivamente con il negative feedback (la controreazione) rispettivamente su 0 e 8 ohm. Qualche incursione curiosa in funzionamento misto triodo-pentodo a volte mi ha convinto, altre volte no. Ma erano così brevi da non poterle considerare conclusive. La mia preferenza va, vorrei dire naturalmente, alla, diciamo così, “versione” triodo di questo amplificatore. È, ne sono convinto, essenzialmente una scelta di gusto, di preferenza personale più che di qualità oggettive.
Molto dipende molto anche dalla musica che ascoltate più volentieri. Le impressioni che seguono sono quelle raccolte con la configurazione triodo e zero con troreazione.
Tra gli ascolti ve ne cito uno, come dire, “personale”, ed è il Randy Newman di “You Can’t Fool Thè Fat Man” (in Little Criminals, Warner 7599-27321-2). Un avvertimento per tutti voi: non provateci, ad ingannare il grassone. Si tratta di una canzoncina così, non uno di quei brani
colti che di solito si citano nelle recensioni. Perdonatemi la debolezza. Ma è un buon test per la voce, il primo che faccio quando provo un qualsiasi apparecchio da musica. Un test ovviamente cruciale per giudicare le qualità intime di una macchina da musica, sia essa un ampli o
un diffusore.
Randy ne esce tridimensionale, ben collocato, pulito, netto nella descrizione dei passaggi anche “meno evidenti. La voce ha una naturalezza spontanea, si offre senza difficoltà all’ascoltatore, riempie con semplicità lo spazio, senza che tutta via venga mai persa la focalizzazione del
punto di origine. Il gioco della naturalità non è mai a discapito del piacere dell’ascolto.
Ho risentito con il Mesa un pezzo triste ma molto bello che è il “Requiem” di John Rutter (Reference Recordings RR-57CD, codificato per l’HDCD). È un’esecuzione molto bella, della Turtle Creek Chorale e della Dallas Women’s Chorus, fatta per ricordare i loro colleghi morti di AIDS e in solidarietà con quelli malati o sieropositivi, alcuni dei quali hanno partecipato a questa esecuzione. Il “Requiem” è difficile da restituire in tutta la sua grandiosa tristezza, ma il Mesa Baron sembra costruire con le decine e decine di voci dei coristi uno splendido contrappunto sullo sfondo di un organo la cui tessitura è straordinariamente resa, solida e leggera allo stesso tempo, presente senza essere invadente né troppo arretrata. La scena sonora è di una grandiosità incombente.
Così vasta, avvolgente, vicina da perdere la nozione dello spazio fisico in cui mi trovo.
Un capolavoro di ricostruzione dell’immagine sonora che riesco ad associare solo ai migliori e più costosi amplificatori che mi sia capitato di provare. La sensazione di forza e tuttavia di pace che il “Requiem” riprodotto con il Baron sa dare è veramente straordinaria e la cancellazione delle costrizioni spaziali così efficace da sconcertare.
Il resto segue allo stesso livello di qualità: ottimo basso, splendide medie frequenze, soddisfacenti alte, eccellente dinamica. Siamo quasi dappertutto a livello superlativo. E siamo soprattutto di fronte ad una personalità intrigante, sicura di sé, certa di un background di tutto rispetto.
Una macchina dalle radici solide e dagli splendidi fiori.
di Toni De Marchi
da AUDIOreview n. 163 ottobre 1996
Amplificatore finale Mesa/Boogie Baron
Prezzo: L 10.924.000 (listino 9/96].
Distributore per l’Italia: Arcona Sri, An Entel C. Via Filippino Lippi, 19-20131 Milano. Tel. 02/2367595.
Il Mesa Baron è stato ascoltato in una catena composta da:
- Sorgente: Mark Levinson No. 37
- Convertitore : Sonic Frontiers SFD-2
- Preamplificatore: Audio Research Reference 1
- Diffusori: Martin Logon CLS llz
- Cavi: Transporent Cable, Kimber Kable
- Accessori: tavolini BCD by GM, supporti Moss, condizionatori di rete BCD by GM, Dromos