Crediamo sia inutile ricordare ancora i fasti della Marantz degli anni ’60 e ’70, il periodo di declino e l’ acquisizione da parte della Philips, perché pensiamo siano davvero pochi gli audiofili completamente ignari delle sorti di questa stella fissa del firmamen to hi-fi.

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Quel che ci preme sottolineare e come la rinascita del marchio sia dovuta tanto alla linfa vitale profusa dal colosso di Eindhoven quanto alle capacità del suo capo progettista, al secolo Ken Ishivata, che in pochi anni ha saputo creare giradischi digitali degni della leggenda Marantz e leggendari per i meriti specifici. Da qualche tempo l’attenzione di Ken si è rivolta alle amplificazioni, con il titanico intento di reimmissione nel catalogo dei mitici Model 7 e Model 9, realizzati con le stesse tecniche e gli stessi componenti degli originali dei primissimi anni ’60. Prima del compimento di questa missione, e ad un prezzo decisamente più accessibile, lo staff Marantz ha comunque inteso proporre alla vastissima schiera dei suo estimatori un amplificatore integrato di livello decisamente alto, con prestazioni ed ambizioni da sistema a due telai.

L’esterno

Il design del top degli integrati Marantz è naturalmente rifinitisso e.per noi, molto bello, anche perché ricorda quello delle “generazioni d’oro” d’una ventina d’anni or sono. Sia la dotazione dei comandi che la capacità ricettiva sono elevate per un integrato da audiofili.
Il PM-16 è infatti collegabile a sette diverse sorgenti, tra cui due registratori ed un phono MM od MC, dispone di una completa barra di registrazione autonoma e dei controlli di tono, pur ovviamente bypassabili; inoltre è telecomandabile, sebbene i comandi remoti si limitino
al volume ed al muting. Tanta versatilità non è stata comunque ottenuta a discapito di quella semplicità struttura le che tutti gli appassionati di hi-end da sempre ricercano, perché nel suo percorso più breve il segnale da amplificare transita solo attraverso i relais di commutazione, collocati vicino alle prese d’ingresso, per poi attraversare un controllo di volume semiattivo (basato sugli HDAM, che la Marantz impiega già da alcuni anni anche sui CD player) e giungere agli amplificatori di potenza.

Il retro monta quattro coppie di morsetti di uscita, non separatamente gestibili in quanto esiste un solo pulsante di disattivazione delle uscite, e nove coppie di pin RCA dorati, pm il commutatore MM/MC del phono. Probabilmente Ken Ishivata non crede molto ai vantaggi delle connessioni bilanciate, sebbene la collocazione relativa di ingressi ed uscite sia comunque tale da minimizzare i fenomeni di accoppiamento magnetico, che nel normale allestimento di un impianto sono quelli forieri dei più vistosi effetti di interazione debole cui un’amplificazione può andare soggetta.

Interno e soluzioni circuitali

L’accesso all’interno del PM-16 è consentito sia dal lato superiore che da quello inferiore, ed in ambo i casi la vista che si offre all’esame del critico audiofilo è delle più accattivanti. Rimuovendo il cofano superiore il colpo d ‘occhio è dapprima attratto dal toroidale di alimentazione, un componente di grande mole e «scena», per via della visibilità delle spire (i cui strati sono separati da un foglio plastico
trasparente), ma subito dopo si apprezza l’estrema razionalità del cablaggio, ovunque raccolto in fasci e terminante in connettori sfilabili.

A coperchio superiore rimosso il PM-16 mostra subito la distanza quasi stellare che lo separa dalla normale produzione. L'alimentazione è unica per i due canali ma molto generosa, basata su un toroidale insolitamente sviluppato in altezza e poggiato su una vasta base plastica antivibrazioni nonché su due elettrolitici veloci della Elna da 15.000 microF ciascuno. Tutte le connessioni sono organizzate in fasci sfilabili.

A coperchio superiore rimosso il PM-16 mostra subito la distanza quasi stellare che lo separa dalla normale produzione. L’alimentazione è unica per i due canali ma molto generosa, basata su un toroidale insolitamente sviluppato in altezza e poggiato su una vasta base plastica antivibrazioni nonché su due elettrolitici veloci della Elna da 15.000 microF ciascuno. Tutte le connessioni sono organizzate in fasci sfilabili.

Alimentazione e stadi di potenza occupano circa il 70% del volume interno ed i dissipatori dei finali sono consistenti sia in termini di superficie (circa 2000 cmq per canale) che di massa termina (1,5 kg di alluminio per canale), tuttavia, ed in modo apparentemente contrastante con la tutt’altro che irrilevante potenza di uscita, ogni finale monta una sola coppia di bipolari di potenza. Anche in questo caso possiamo dedurre qualcosa sulle convinzioni del progettista, evidentemente seguace di quella filosofia del «singolo direttore d’orchestra» che vede nella proliferazione delle coppie in parallelo un pericolo in termini di «controllo» dell’amplificazione,
visto che pur effettuando selezioni accurate la corrente circolante in ogni dispositivo dipende anche dalle caratteristiche dei colleghi pilotati dallo stesso driver e non c’è quindi possibilità di gestione attiva della ripartizione. Del resto se, come in questo caso, i finali adottati sono generosi (si tratta di componenti Sanken da 200 watt di dissipazione massima) e velocissimi (la Ft propria è altissima, ben 40 MHz, grazie alla tecnologia multi-emettitore) e se le protezioni sono correttamente calibrate (nello specifico non esistono !imitatori, ma solo sensori
foldback tarati per staccare il carico solo in condizioni estreme), non sussistono reali limiti di pilotaggio.

Nonostante la consistente potenza, ogni canale del PM-16 monta una sola coppia di finali, in ossequio alla teoria del «singolo direttore d'o rchestra» seguita ormai da diversi progettisti audio. Notare la <<finezza» della completa copertura in rame del corpo plastico dei dispositivi.

Nonostante la consistente potenza, ogni canale del PM-16 monta una sola coppia di finali, in ossequio alla teoria del «singolo direttore d’orchestra» seguita ormai da diversi progettisti audio. Notare la «finezza» della completa copertura in rame del corpo plastico dei dispositivi.

 

I moduli HDAM (Hyper Dynamic Amplifier Module), qui asserviti al comando di volume, sono completamente rivestiti in rame.

I moduli HDAM (Hyper Dynamic Amplifier Module), qui asserviti al comando di volume, sono completamente rivestiti in rame.

L’accesso dal lato inferiore evidenzia, oltre alla «finezza» di un’alimentazione supplementare per gli stadi di protezione, un preziosismo notevole, l’adozione di uno chassis monoblocco pressofuso di zinco, che rende l’intera struttura rigidissima ed assai smorzata allo stesso tempo.

Come in altri progetti di livello molto elevato (Threshold, Accuphase, Audio Research, etc.) la commutazione degli ingressi è servoassistita ed attuata da una schiera di relais in atmosfera inerte, in questo caso ben 15.

Come in altri progetti di livello molto elevato (Threshold, Accuphase, Audio Research, etc.) la commutazione degli ingressi è servoassistita ed attuata da una schiera di relais in atmosfera inerte, in questo caso ben 15.

Sul piano circuitale abbiamo indicazioni certe di soluzioni originali, che tuttavia la scarsa risoluzione di un fax e gli affannosi ritmi redazionali lasciano parzialmente ignote. Ad ogni modo, lo stadio d’ingresso del finale ricorre ad un OP amp integrato usato «alla  Meridian», ovvero con prelievo del segnale di uscita sui due lati di alimentazione e non sul canonico centrale, seguito da un ampli di
tensione simmetrico ed autostabilizzante in temperatura la cui uscita alimenta un primo loop di reazione interno, chiuso capacitivamente; questa soluzione limita fortemente il fattore di controreazione totale, contribuendo parallelamente ad un miglioramento della linearità dei primi stadi. Lo stadio di uscita è classico, un triplo darlington stabilizzato in temperatura da un darlington doppio collocato direttamente sul dissipatore.

Lo stadio phono è interamente a discreti e sfrutta un HDAM specifico, con ingresso a FET a basso rumore. Interessante anche la soluzione adottata per il volume, che sfrutta un HDAM ausiliario e due potenziometri per canale (uno sul partitore di reazione dell’operazionale) per ridurre il rumore dello stadio di volume nelle posizioni intermedie, una tecnica efficace che ricorda scelte analoghe effettuate in passato da Technics e JVC.

Accedendo da/lato inferiore si constata come tutto lo chassis interno sia realizzato con un monolitico blocco pressofuso di zinco, cui sono ancorati anche i cospicui dissipatori di ogni canale.

Accedendo da/lato inferiore si constata come
tutto lo chassis interno sia realizzato con un
monolitico blocco pressofuso di zinco, cui sono
ancorati anche i cospicui dissipatori di ogni
canale.

Il telecomando essenziale fornito con l'apparecchio.

Il telecomando essenziale fornito con l’apparecchio.

Le misure

I test effettuati sul PM-16 indicano con una certa evidenza che, nonostante il notevole dispiegamento di mezzi profuso anche in relazione alla voce «energia», quello di realizzare un ampli che fosse anche in grado di pilotare carichi particolarmente ostici era sì un parametro di
progetto, ma tutt’altro che il più importante.

Il carico limite mostra infatti curve decisamente in salita ed un incremento di erogazione pari a 1,59 passando da 8 a 4 ohm, ma le tritim non «sconfinano» con decisione in zona rossa se non con il carico induttivo, il meno «vorace» in termini di corrente, ed in tutti i casi sono osservabili quei piccoli residui di intermodulazione caratteristici di molti progetti hi-end, qui determinati soprattutto dall’uso di una sola coppia di finali.

Nel caso del carico capacitivo, ad esempio, ogni finale è stato in grado di gestire picchi di corrente fino a 22 ampère introducendo non linearità molto piccole, che solo un fattore di controreazione molto alto avrebbe potuto abbattere (ma con tutti i problemi legati a tale tipo di scelta).

Le misure «qualitative» sono tutte largamente soddisfacenti. I -75 dB di rumore dell’MC, la sua alta accettazione anche con segnali ripidi e l’accuratezza della RIAA dimostrano chiaramente come tale stadio non sia stato visto dal progettista come un utile prolungamento del phono MM, oppure, se così è stato, il risultato è stato comunque un ottimo phono MC ed un MM decisamente superiore alla media, soprattutto in termini di rumore residuo e con il solo piccolo difetto di una componente capacitiva dell’impedenza un poco più alta del desiderabile. Ottime sono pure risultate le prestazioni degli ingressi ad alto livello, sia in termini di rumore che di linearità.

La risposta della sezione finale è invero in salita alle frequenze bassissime, per via di un loop ausiliario chiuso solo capacitivamente, ma l’enfasi è tutta esterna alla banda audio e quindi potrebbe al più massimizzare l’effetto dei warps dei dischi in vinile. Perfettamente regolare l’intervento dei toni, giustamente limitati in escursione alle note più basse.

le-misure-marantz

Conclusioni

Il Marantz PM-16 appartiene a quella sparuta genia di componenti in grado di conciliare nel modo migliore la tradizione progettuale occidentale con le capacità ingegneristiche del sollevante, le sole che consentono oggi di realizzare un componente di questa levatura in quantità tali da presentarsi sul mercato ad un prezzo tale da non spaventare la maggioranza degli audiofili.

i-concorrenti

Si tratta in sintesi di un integrato flagship molto bello, molto ben impostato sul piano circuitale e costruito in modo eccellente, capace di pilotare praticamente qualunque sistema di altoparlanti e di gestire con la necessaria accuratezza anche pick up analogici di alto livello.
Fabrizio Montanucci


L’ascolto

Le temperature che l’inizio di giugno ci ha regolato san già di quelle che fanno desiderare di essere lontani do quella umidiccia calura impregnata di smog di una città come Ramo. Il fono è che nemmeno in quel di Asti le cose sembrano migliorare, e nell’ultimo torrido week-end persino le affollate spiaggehe della peraltro affascinante costa ligure avrebbero rappresentato un’invidiabile alternativa agli impegni urbani. La «Delizia al Limone» di Positano (vero frutto proibito per certi suoi effetti intensamente afrodisiaci) resta per il momento lontana dalle mie possibilità degustative e nel frattempo una qualunque bettola romana (ce ne sono tante), purché con l’aria condizionato, resta tra i primari obiettivi di squallidi pranzi di lavoro.

Nonostante le premesse non mi sono sottratto alla oudiofila incombenza mensile che consiste nel trascinare nella tana una o più macchine da musica per una serie di ascolti approfonditi. Questa volta è toccato all ‘integrato Marantz PM 16, un pezzo di razza e di sostanza, decisamente un peso medio-massimo nel mondo dell’amplificazione a singolo telaio. Il nostro presenta doti di immediato interesse. Massiccio. solido, ben costruito e imponente quel tanto che basta per farsi notare anche dagli amici e conoscenti più ignari del fenomeno della riproduzione sonora. Evidentemente oltre ad essere piuttosto bello il PM 16 sa anche suonare, e soprattutto so far suonare in modo schietto e disinvolto i sistemi di altoparlanti che vorrete collegargli.

I morsetti di uscita, già a norme di sicurezza, possono serrare cavi di diametro consistente (almeno fino a 5 m m) ma non forcelle. Tutte le prese d'ingresso sono dorate superficialmente e tutte le viti del pannello posteriore, nonché tutte quelle interne, sono placcate in rame.

I morsetti di uscita, già a norme di sicurezza, possono serrare cavi di diametro consistente (almeno fino a 5 m m) ma non forcelle. Tutte le prese d’ingresso sono dorate superficialmente e tutte le viti del pannello posteriore, nonché tutte quelle interne, sono placcate in rame.

Per qualche tempo esso è diventato il cuore di un impianto nemmeno tanto succinto. Meccanica digitale Philips CD 960, convertitore D/ A «Easy DAC» (un kit che il nostro Walter Gentilucci ha voluto graziosamente montare per me), giradischi Teksonor CD 9S con braccio Mayware e testino Stanton 881 EEE arricchito dagli accessori analogici della ART, DAT Teac R9 per quelle cassette prova che ho realizzato con pazienza negli ultimi anni. Come diffusori ho utilizzato le mie Chario Academy 3 (quelle grandi), in alternativa alle piccole e simpatiche Harberth HL P3ES, che stanno iniziando in queste settimane le loro sedute di ascolto e di cui potrò parlarvi nei prossimi mesi. Positive le prime impressioni d’uso e da segnalare la buona qualità dell’ingresso Phono, timbricamente morbido, musicale e appena vellutato e la possibilità d’intervenire sull’equilibrio sonoro con i controlli di tono (escludibili per i più timorosi). Molto esuberante la potenza che evidememente consente al PM 16 di districarsi con la maggior porte dei diffusori spingendo a dovere anche con 1 generi musicali più dinamici. Per chi dovesse sononzzare un vaslo ambiente d’ascolto un amplificatore di questa stazza è quasi indispensabile. Al di là di ogni considerazione quantitativa, bisogna sempre ricordare che una generosa potenza permette ai restituire non solo il volume sonoro ma anche il respiro e la massa di una grande formazione orchestrale, così come di spremere a fondo quei piccoli sistemi di rango che in altre condizioni rischierebbero di apparire un poco «anemici».

Alcuni grandi amplificatori integrati provati in passato sembrano voler rinunciare a porte della potenza in favore di una musicalità particolarmente spinta ed un’impostazione timbrica morbida e accattivante. Il carattere sonoro del Marantz appare invece fresco e deciso, con una dose di energia che in porte dipende dalla potenza ed in porte da una buona velocità di risposta ai segnali transitori attraverso i quali la vivacità del programma musicale è garantita. Grande solidità della gamma bassa e presenza evidente dell’estremo acuto, sempre molto dettagliato e finemente trasparente. Nell’insieme la riproduzione appare corretta ed omogenea, ma le tinte che vengono in mente nel descriverne la personalità sono chiare e decise, e non regalano indulgenza alcuna ai momenti più intensi e meno eufonici di alcune portiture orchestrali. Si trotta di un’interpretazione che tende ad awicinare gli esecutori al punto di ascolto pur nel rispetto degli equilibri
relativi , capace di estrarre un’ampio mole di informazioni dal software.

In un’incisione di assoluto riferimento come quella dei «Concerti per molti Strumenti» di Vivaldi (CD Pierre Verany), i numerosi solisti si materializzano entro lo spazio della Academy, ciascuno perfettamente identificato dalla propria peculiarità timbrica. Il colore «grezzo» degli strumenti antichi ed in particolare degli «chalumeaux», antenati dei clarinetti dal timbro pieno e sensuale, accentua il contrasto voluto dall’autore con il gruppo degli archi, e le ampie dinamiche presenti servono o tenere a mente che la musica barocca non mancava certo di energia.

Persino una raffinatezza tardo-settecentesca come il «Concerto n. 21 per pianoforte e orchestra» di Mazart (lstomin/Schwarz con la Seattle Symphony in un CD HDCD della attivissima Reference Recording) appare in tutto lo splendore di una grandissima incisione. Pianoforte grande, solido e fortemente sensibile alle sfumature del tocco ed agli accenti, corpo orchestrale elaborato ed avvolgente con dei primi violini forse appena troppa esili ma di nobile fraseggio, buona la corposità e consistenza della gamma mediobassa. Immagine sonora non esigua, ed anzi ben rappresentata anche nel senso dello profondità.

Dinamicamente più impegnativo il pianoforte suonato da Nojima sempre per la Reference Recording (Liszt «Sonata in si») , un vero tour de force che mostra i limiti fisici di un grande Steinway. Qui le doti dinamiche del nostro Marantz appaiono davvero vincenti, e l’impatto dello strumento è ai massimi livelli. Estremamente dettagliata e trasparente la parte centrale della tastiera, che al di là degli atletismi dell’esecutore (capace di far tremare le pareti) resta nevralgica per la comprensione musicale del brano.

Timbricamente più docile il comportamento con l’ormai immancabile LP della Originai Master Recording con il rauco sax di Ston Getz e lo voce di Gilberto Gil. «The Giri from Ipanema», inciso tonti anni fa in un anno glorioso, non mostra mai di affaticare. Come forse saprete io non amo l’archeologia discografica, ma qui non passo non restare affascinato dalla tangibile presenza degli esecutori e da quella morbida pienezza in gamma media e bassa che allontana ogni fatica d’ascolto.

E un puledro di razza questo Marantz PM 16, in grado di dare qualche energico scossone anche agli ascoltatori più distratti e comunque musicalmente ed emotivamente molto generoso, soprattutto prendendo in considerazione l’abbinamento con validi diffusori dal timbro caldo, con i quali potrà dawero sorprendervi.
Buon Ascolto!

Marco Cicogna


Costruttore: Marantz, Giappone
Distributore per l’Italia: Marantz Italiana, Piazza IV novembre 3, 20124 Milano. Tel. 02/67521
Prezzo: Lit. 5.500.000 (listino 2/96)

Caratteristiche dichiarate dal costruttore

  • Potenza di uscita: 90 W per canale su 8 ohm, l 20 W per canale su 6 ohm, 150 W per canale su 4 ohm
  • Distorsione (20/20.000 Hz, 8 ohm): 0.008%
  • Risposta in frequenza: 5-70.000 Hz +0/-1 dB.
  • Fattore di smorzamento (20/20.000 Hz, 8 ohm): 160
  • Sensibilità/impedenza: phono MM 2,5 m V/ 47 kohm, phono MC 200 AV/100 ohm, alto livello 150 mV/10 kohm
  • Massimo livello d’ingresso: MM 160 mV, MC 12 mV
  • Risposta phono: 20/20.000 Hz ±0,2 dB
  • Rapporto S/N (IHF «A», ingresso in corto): phono MM 90 dB, phono MC 76 dB, alto livello 111 dB
  • Intervento toni: ±8 dB o l 00 Hz, ±8 dB a 10 kHz
  • Dimensioni: 458x 167×47 4 mm (LxHxP)
  • Peso: 20 kg.