Cari costruttori…

La prova del grande integrato Audio Analogue pubblicata in questo numero ci dà il destro per segnalare un problema di rapporti tra editoria specializzata e aziende costruttrici di prodotti audio che data ormai da almeno una ventina d’anni, ma che negli ultimi tempi si è fortemente consolidato: l’impermeabilità alle nostre richieste di documentazione tecnica, ed in particolare dei service manual.

Chi acquista AUDIOreview sa bene che non ci siamo mai fermati alle apparenze e, su ogni apparecchio in prova, oltre ad effettuare misure cerchiamo di fare un vero e proprio reverse engineering, con l’ovvio scopo di andare a fondo nell’analisi, capirne la sostanza e la carica innovativa, legare quei dati a misure ed ascolto e presentare compiutamente il tutto ai nostri lettori.

Per i diffusori possiamo fare molto anche senza disporre di documentazione. Li possiamo smontare, risalire ai parametri dei trasduttori e dei caricamenti, ricostruire il filtro crossover, individuare aspetti peculiari dei cabinet ed altro ancora. Per le elettroniche valvolari, in genere relativamente semplici sul piano elettrico, pur con ancora maggiore impegno possiamo attuare qualcosa di simile, e lo stesso vale per talune tipologie di sorgenti, o almeno alcune loro sezioni.

Quando però ci troviamo di fronte ad un amplificatore che, come minimo, incorpora 500 componenti (e talvolta anche 6-8 volte tanto), connessi con circuiti stampati anche a 4 strati, magari in gran parte del tipo a montaggio superficiale e quindi ultraminiaturizzati, in genere non possiamo andare oltre la ricostruzione di alimentazione e stadi di potenza. Qui la disponibilità dello schema elettrico è fondamentale.

In tempi ormai lontani, quelli dell’esplosione dell’audio hi-fi, non c’erano problemi: per ricevere rapidamente quei disegni bastava chiederli al distributore o direttamente al costruttore, ma spesso erano anche già presenti negli imballi. Erano gli anni in cui la competizione si giocava a viso aperto e non, come di fatto capita ora, cercando di creare un’aura di mistero su quel che si è fatto (in pratica “ascolta il mio prodotto e sentirai quanto suona bene, ma non saprai mai il perché”), anni che resero popolare l’hi-fi anche a livello di tecnica elettronica e che fecero crescere una schiera di progettisti che hanno fatto avanzare questa disciplina e fatto fiorire questo mercato.

Paura che altri costruttori copino quel che si è sviluppato?
Per quello c’è sempre stata la brevettabilità, e senza quella copertura in realtà qualsiasi azienda di competenze asfittiche potrebbe facilmente procurarsi gli apparecchi interessanti e fare quel reverse engineering di cui, con pratica certezza, nessuno saprebbe mai nulla.

Per fortuna almeno buona parte dei costruttori italiani è sempre stata consapevole di quanto appena descritto e si è regolata di conseguenza. Ne è un esempio eclatante proprio la prova dell’Audio Analogue ABsolute citata all’inizio. Un integrato imponente sul piano costruttivo, ma ancor più imponente su quello della raffinatezza circuitale e dei risultati conseguiti. Poter disporre degli schemi, simulare e verificare la bontà delle affermazioni, potersi interfacciare direttamente con il progettista ed andare ancora più a fondo nelle scelte operate ci consente di mettere a punto prove che – detto senza sicumera ma con un po’ d’orgoglio sì – non hanno riscontri a nessuna latitudine e che nella nostra visione rendono più ricca e più divertente questa passione.

Casualmente, ma nemmeno poi tanto, va in questa direzione anche un approfonditissimo articolo di Giovanni Bianchi, di prossima pubblicazione, su un interessante circuito che Yamaha sviluppò molti anni or sono e che denominò Hyperbolic Conversion Amplification.
Erano tempi in cui chi faceva qualcosa di bello lo pubblicizzava ampiamente e del resto, come ebbe a dire un noto personaggio pubblico, che senso ha realizzare una Monna Lisa e poi tenerla dentro un cassetto?
Fabrizio Montanucci