DSD: un pianeta tutto da esplorare
La copertina di questo mese esce fuori dai soliti canoni e può risultare un po’ criptica, con quei misteriosi grafici che fasciano il maggior pianeta del nostro sistema solare, ma non potrebbe essere altrimenti volendo esprimere graficamente qualcosa che ancora si prospetta pieno di incognite. Ovviamente non è di astronomia che andremo a trattare ma delle rilevanti scoperte emerse grazie al lavoro di ricerca condotto da Francesco Romani e Fabrizio Montanucci nell’ambito delle tecniche che portano alla creazione di un file musicale in formato monobit DSD, un campo di indagine che si sta rivelando una sorta di vasto pianeta ancora inesplorato.
Lo studio ha preso spunto dalla crescente considerazione di cui gode la musica riprodotta in DSD tra gli ascoltatori più esigenti e tecnologicamente più aggiornati; quel Direct Streaming Digital che sta alla base del Super Audio CD e la cui disponibilità online in formato nativo è in forte evoluzione, profilando un ambito meritevole di un’analisi tecnica approfondita, nel classico stile che è proprio del DNA di questa rivista.
Entrando nello specifico dei risultati emersi possiamo dire, in estrema sintesi, che prima di questa indagine il DSD era inquadrato dagli appassionati di audio come una tecnologia legata ad un procedimento ben definito e sostanzialmente univoco, un po’ come (in prima larga approssimazione) il PCM. Invece, questo lavoro ha permesso di scoprire una situazione molto più complessa e variegata, focalizzando l’importantissimo ruolo svolto dai modulatori sigma-delta, ovvero di quei software usati negli studi di registrazione e che sono necessari per arrivare ad un segnale a singolo bit ad altissima fedeltà. Il modulatore sigma-delta può essere interno al chip che effettua la conversione analogico-digitale del segnale proveniente da un microfono, ed in quel caso opera in tempo reale, oppure – ed è il caso più comune – può essere un programma da computer che come ingresso ha un segnale PCM a definizione più o meno elevata (l’attuale frontiera è il formato DXD). In ambo i casi il suo compito è lo stesso: “ripulire” la banda audio dal rumore e dalla distorsione intrinseche del formato a singolo bit, e lasciare solo la musica. A questo scopo, intere famiglie di modulatori sono state messe a punto da diverse aziende, come quelli sviluppati da Philips per i primi Super Audio CD, ma ci sono ad esempio anche i modulatori della svizzera Weiss, quello di Audiogate della Korg ed il diffusissimo JRiver, i quali, possiamo ben dire, portano a risultati tecnicamente molto diversi, avendoli misurati oggettivamente. Molto diversi significa con dislivelli, nel confronto diretto, dell’ordine delle decine di dB!
Per inquadrare la portata di questo lavoro, si pensi ad esempio ai tagli usati per gli stili delle testine fonografiche. Quale analogista potrebbe sostenere che un taglio conico porti agli stessi risultati sonori di un ellittico, di uno Shibata o di uno Stereohedron? Ebbene, nell’ambito del DSD, i modulatori svolgono in sede di realizzazione del file master un ruolo di importanza equivalente a quello svolto dalla geometria della puntina di lettura che esplora un vinile.
Questo è quanto emerge dal lavoro di cui Montanucci e Romani ci relazionano su queste pagine e che pubblichiamo con orgoglio, stante l’originalità dell’indagine condotta e la consistenza dei risultati raggiunti. Non ci risulta che questi argomenti siano stati affrontati e divulgati in precedenza, e tanto meno ci risulta che qualcuno ne abbia quantificato la portata in termini oggettivi.
Non meno interessante sarà quanto andremo ad esporre sul prossimo numero, dove affronteremo le verifiche all’ascolto di brani musicali a varia risoluzione passati attraverso i diversi modulatori.
Buona lettura, buon ascolto e un gioioso Natale in musica dalla redazione di AUDIOreview.
Mauro Neri