«Ma in alta fedeltà, i “jap”, ci fanno o ci sono?». Beh… sì, in passato ci siamo più volte posti di fronte ad un interrogativo del genere.

Rotei RHA-10: l'ennesima, gradita conferma della «nouvelle vague» giapponese.

Rotei RHA-10: l’ennesima, gradita conferma della «nouvelle vague» giapponese.

Non avremmo potuto farne a meno osservandoli saturare il mercato con ondate successive di giradischi plasticosi, casse acustiche validissime come supporti per vasi di fiori ed assai meno per la diffusione dei suoni, amplificatori imbottiti di gadget ed intossicati da overdose di feedback negativo. Era Vàge d’or del coordinato, del «rack», come usava intercalare l’amico esperto. Nel novanta percento dei casi si trattava d’un’oscenità elettroacustica, messa insieme alla meglio e commercializzata, a mero fine di lucro, con l’etichetta-truffa di «impianto hifi». Ne conserviamo una memoria angosciosa venata, incredibilmente, da un rigagnolo
di tenerezza. E già, sarà forse perché, se non altro, tutta quella paccottiglia ha avuto il merito di «volgarizzare» l’audiofilia e di allargarne clamorosamente i confini.

Molti di noi, quasi tutti, hanno iniziato la scalata all’«Empireo» hi-end, portandosi a casa almeno uno di quegli sciagurati componenti.

Qualcuno ha raggiunto (o crede d’aver raggiunto), beato lui, la vetta, qualcun altro s’è fermato al primo gradino e continua, tutt’oggi, a prestar orecchio, felice, ad un
impianto che farebbe collassare qualunque purista; noi, dal canto nostro, rispettiamo la sua scelta che, chi lo sa… potrebbe anche essere la più giusta. Tutti gli altri proseguono speranzosi il cammino attraverso percorsi più o meno tortuosi e densi di insidie. Ad essi (e noi siamo tra questi) rivolgiamo un sentito augurio.

Tornando, comunque, al binomio alta fedeltà-giapponesi, gli appassionati hanno iniziato a porsi domande del tipo suddetto nel momento stesso in cui hanno percepito la reale portata del potenziale tecnologico-industriale nipponico, peraltro perfettamente espresso, in settori come quelli automobilistico ed informatico.

Era, ed è chiaro a chiunque, che uno qualsiasi dei tanti colossi dell’elettronica giapponese avrebbe potuto esprimere tranquillamente realizzazioni in grado, se non di surclassare, quantomeno di competere alla pari con quelle di qualunque costruttore «esoterico» occidentale. Ed in effetti ciò, anche se in forma piuttosto circoscritta, già avveniva, dal momento che diverse grandi case si erano cimentate in costruzioni di elevatissimo livello e, tra esse, potremmo citare Sony con le linee «Esprit» e (più di recente) «Rl», o Pioneer, con gli eccellenti componenti della serie «Exclusive». Purtroppo, forse per una certa miopia iniziale nella scelta delle strategie commerciali, sia da parte degli stessi costruttori, che da quella dei distributori, qui, nel «Belpaese», poco o nulla è arrivato della produzione d’elite nipponica.

Davvero strano che quei marpioni dei sudditi dell’Impero del Sole abbiano, una volta tanto, peccato in lungimiranza, non avendo intuito con un certo anticipo l’appetibilità di un segmento di mercato, quello dell’hi-end, ed in generale, dei componenti audiophile, che olrretutto, qui in Italia è forse più florido e dinamico
che in qualunque altra parte del mondo.

Un’occasione persa soprattutto da parte dei distributori, che solo in tempi recenti, con nomi come Air Tight, Audio Note, Shindo Lab, etc, c’hanno offerto una ristretta campionatura della produzione dei pur numerosi costruttori esoterici giapponesi, forse ancora più snob, intransigenti e faziosi dei loro omologhi occidentali, legati come sono alla convinzione, assoluta e viscerale, della superiorità dei dispositivi termoionici. Esasperati le abbiamo pensate tutte. Persino
che quei diabolici jap volendo perseverare nel loro atavico e secolare isolazionismo culturale, volessero tenersi a casa i loro pezzi pregiati, assecondando al contempo, la parimenti atavica volontà espansionistica, colonizzandoci con un vagonate di minutaglia «gadgettosa», certamente più consona alla sottocultura consumistico-decadente occidentale.

Incubi da menti malate, o meglio, disperate. La ricerca, ad esempio, di un sistema d’amplificazione di bella «voce» e prezzo terreno, si prefigurava come un
autentico vicolo cieco. Se infatti, per gli audiofili dal portafoglio pesante, v’era in ogni caso la possibilità di andare a far la spesa presso i «grandi americani» come
Audio Research, McIntosh, Threshold, etc, per chi invece doveva far i conti con un budget molto più risicato, di alternativo al classico integrato giapponese di basso profilo c’era realmente poco o nulla. Con i piccoli integrati inglesi d’impostazione rigorosamente audiophile, ancora di là da venire, con il mitico microbo NAD 3020, loro illustre antesignano, in fase di gestazione, non era concesso spazio alcuno alle velleità di coloro che avrebbero volentieri scambiato VU-meter fluorescenti e qualche manciata di led, con uno stadio di alimentazione più curato; filtri, loudness e controlli di tono, con una sezione finale in grado di pilotare
anche dei veri diffusori, oltre al solito carico resistivo da 8 ohm, tanto utile nella sconsiderata corsa alla platealità del dato di potenza ed alla microscopicità di quello di distorsione, quanto astratto ed illusorio.

Poi… le cose, grazie al cielo, sono cambiate. Arrivò il NAD, arrivarono i piccoli inglesi, tirammo qualche sospiro di sollievo, arrivò, a rassicurarci definitivamente sul fatto che effettivamente spirasse un vento d’illuminato rinnovamento, una certa Rotel.

Rotel non era, in verità, una illustre sconosciuta, avendo goduto durante gli anni ’70, di una discreta popolarità, con una serie di realizzazioni di fascia medio-economica perfettamente allineate con le (pessime) tendenze progettual-costruttive dell’epoca. Caduta progressivamente nel dimenticatoio sul finire del decennio, la ditta di Tokyo balzò imprevedibilmente, e non senza destare un certo clamore, all’attenzione della stampa specializzata, prima, e degli audiofili, poi, con un piccolo integrato, TRA-820B, che vide la luce un decennio orsono, e che ora come ora, per quanto ci è dato di sapere, pare segga alla destra del NAD 3020 nell’Olimpo dei mini integrati per orecchie d’oro. Da allora Rotel ha accresciuto enormemente prestigio e credibilità presso le folte schiere di appassionati attenti al rapporto qualità/prezzo, con tutta una serie di produzioni, dai CDP ai finali di potenza, caratterizzate da una progettazione intelligente ed attenta agli aspetti più critici della riproduzione e da azzeccate scelte di compromesso, finalizzate al massimo contenimento dei costi senza per questo ripercuotersi negativamente sulle prestazioni elettriche e sonore.

Nessun compromesso all'interno dell'RHA-10.

Nessun compromesso all’interno dell’RHA-10.

Il merito della graditissima metamorfosi Rotel va tutto alla sua intraprendente e dinamicissima sussidiaria britannica che, nata inizialmente per distribuirne i prodotti nel Regno Unito, dai gusti e dalle esigenze d’un pubblico tradizionalmente critico e preparato, qual è quello degli audiofili britannici, ha mutuato precise
specifiche per le realizzazioni della casa madre, affinchè poi queste potessero incontrare i favori di quella raffinata platea.

Del «new-deal» Rotei e dei conseguenti successi di critica e di pubblico, se ne sono accorti, con nostro incontenibile gaudio, parecchi costruttori nipponici, che hanno poi fatto in fretta ad imparare la lezione – non tutti, in verità, ne avrebbero avuto bisogno: Accuphase, Stax, Luxman e Nakamichi, classiche eccezioni ad una pessima regola, ci avevano spesso abituato a splendide creazioni, comunque non certamente alla portata di tutti, per giunta penalizzate da una diffusione piuttosto limitata e, di riflesso, dalla cattiva fama acquisita dai marchi «consumer» -, e così bene l’hanno imparata, che non è certo per un ghiribizzo del fato che l’A-400, mini integrato firmato Pioneer, sia uno dei membri della nostra prestigiosa «Accademia dell’Audio» (AR n. 119).

Sull’onda di un consenso ormai generalizzato, Rotel ha voluto dire la sua anche nei più esclusivi ambienti dell’hi-end, con una propria linea d’amplificazione «no-compromise», nata circa due anni fa, e composta originariamente del trittico: pre passivo RHC-10, pre phono RHQ-10 e finale RHB-10, tutti recensiti sul numero 104 di AUDIOreview, dove hanno messo in mostra «numeri» d’alta scuola, specie se rapportati ai prezzi che, come esigono i dettami della casa, sono davvero alla portata di molte tasche.

Come è d’uso dire con questi casi, «a naturale complemento» della top-line delle amplificazioni Rotel, arriva ora anche un preamplificatore di linea attivo, l’RHA-10, una vera primizia prontamente giunta nella nostra redazione e di lì subitamente dirottata verso i sofisticati e critici «salotti» di AUDIOclub.

In perfetta sintonia con quelli che sono i canoni formali della serie «RH», le linee, le proporzioni, i materiali e le scelte cromati che che contraddistinguono l’RHA-10, denunciano immediatamente l’intento, direi pienamente riuscito, dei designer, di dar corpo ad un oggetto dalla veste discretamente elegante, ricercata e preziosa ma non pacchiana. La tonalità «titanio» del pannello frontale e di quello superiore, realizzati in alluminio di buono spessore, sapientemente sabbiato, si sposa con bella disinvoltura alla laccatura amaranto delle fiancatine in legno.

Completa il quadro la consueta finitura a la japonais, vale a dire assolutamente inappuntabile, che coniuga la massima precisione nell’assemblaggio delle varie parti del contenitore con la grande cura del particolare.

Come la quasi totalità delle realizzazioni d’ispirazione puristica, anche l’RHA-10 non sfugge alla regola che vuole minimizzata la quantità di funzioni accessorie svolte dalla macchina. Ce ne accorgiamo dallo scarso numero di controlli che movimentano il frontale, sul quale alloggiano nell’ordine: il tasto d’accensione, la manopola del volume — suddivisa in due sezioni coassiali, in modo da consentire la regolazione del livello indipendentemente per ciascun canale — , il selettore della sorgente da registrare, con possibilità d’esclusione, nell’eventualità d’insopprimibili rigurgiti d’idiosincrasia audiofila, ed il selettore per la scelta di uno
tra i cinque ingressi disponibili. Piccola ma gradita concessione alle facilities a cui ci ha abituato l’elettronica di consumo, è il telecomando fornito a corredo dell’RHA-10.

Non, comunque, una «caduta di tono», trattandosi di un oggetto d’eccellente fattura: solido e pesante, interamente realizzato con il medesimo alluminio del pre, sicuro ed affidabile nell’uso quotidiano (non ha mai fallito un «colpo») oltre che piuttosto versatile, consentendo di operare l’accensione o lo spegnimento dell’apparecchio, la regolazione del volume, l’inserzione del muting e, non ultimo, di intervenire su alcune funzioni del tuner RHT-10 che presto (credo) andrà ad ingrossare le file dell’alto di gamma Rotel.

I quasi otto chili dell’RHA-10 la dicono lunga sulla «stoffa» della macchina, la quale, robustezza dello chassis a parte, giustifica la sua stazza con una sezione d’alimentazione che, a partire dal grosso toroidale blindato, passando per i due ponti raddrizzatori ad alta corrente e, proseguendo poi giù, fino alle capacità di livellamento, farebbe la felicità di più d’un integrato di media potenza. Altrettanto felici ci rende la visione panoramica del layout interno, pulitissimo e razionale, pensato per ridurre al minimo i cablaggi volanti, limitati alle poche, ordinate trecce di fili facenti capo al trasformatore ed al modulo di accensione/spegnimento.

L’interna circuiteria audio, assieme alla relativa alimentazione, è disposta, non senza un certo gusto estetico, su una grande piastra in vetronite a doppia faccia che funge da adeguato contesto all’eccellente qualità della componentistica, dai condensatori elettrolitici, tutti rigorosamente «audio-grade», ai resistori a strato
metallico e bassa tolleranza, dal pregiato potenziometro del volume, motorizzato e completamente schermato onde scongiurare qualunque disturbo, ai raffinati selettori a contatti dorati, per finire con il set di boccole RCA, dalla sicura affidabilità meccanica ed elettrica essendo anch’esse, manco a dirlo, placcate oro.

Non molto possiamo dirvi, purtroppo, circa l’architettura circuitale dell’RHA-10, non essendoci pervenuto alcuno schema elettrico, se non che si tratta di un pre con
circuitazione ibrida a componenti discreti ed integrati, essendo presenti, accanto ad un buon numero di BJT, due pregiati (e rari da reperire, in realizzazioni audio)
operazionali monolitici Analog Devices AD712, che supponiamo connessi in configurazione differenziale.

Nulla di particolare da dire riguardo l’utilizzazione, eccettuato il fatto che, come spesso accade per gli apparecchi di rango, anche l’RHA-10 necessita di un adeguato
periodo di rodaggio, stimato dalla casa in circa cento ore, prima di riuscire ad esprimersi al meglio delle possibilità. Prescrizione che è stata puntualmente rispettata prima di procedere al test d’ascolto, tenendo l’RHA-10 ininterrottamente acceso per alcuni giorni.

L’ascolto del preamplificatore Rotel è stato condotto inserendo quest’ultimo nella consueta catena costituita dalla sorgente digitale Pioneer PD9300/Lector Digicode, dal finale Sonus Faber Amator Power e dai diffusori Sonus Faber Electa Amator. A complemento la cavetteria Lector, Audioquest e Monitor PC, gli stand Foundation ed i Qdamper della ART preposti al disaccoppiamento degli apparecchi valvolari.

L’esperienza d’ascolto ci ha insegnato a diffidare della prima impressione, a non farci condizionare più di tanto dal giudizio d’acchito, a prender con le molle, in sostanza, l’impatto iniziale con qualunque macchina da musica. Chi di noi, in effetti, non è mai stato costretto a modificare, se non sostanzialmente, almeno in parte, un’opinione maturata già alle prime battute, la cui fallacia, però, è andata via via evidenziandosi col procedere degli ascolti. In non poche occasioni ci è capitato d’imparare ad amare un componente o un impianto che sulle prime aveva suscitato in noi poco più che indifferenza o, viceversa, di dover fare parzialmente marcia indietro dopo gli iniziali entusiasmi.

Al pari della musica di cui esso è veicolo, un componente audio necessita d’un ragionevole periodo di «assimilazione» ed analisi che consenta di comprenderne a sufficienza il reale valore e di esprimerne, con la necessaria serenità, un giudizio di merito. È questa una buona regola, che certo sarebbe igienico applicare, non
solo nel nostro ristretto ambito, ma anche — seppure lungi da noi l’intenzione di dispensarvi pillole di saggezza ed ovvietà — , in quello, assai più vasto, del sociale,
ove contribuirebbe, con discreta efficacia, a metterci al riparo da estremismi, preconcetti ed intolleranze. Riapprodando su «lidi» più consoni a questa sede, dobbiamo dire che pur non essendo venuti meno ai nostri consueti precetti, nel frangente, sin dalla prima lettura sono emersi i punti qualificanti della personalità dell’oggetto di queste note.

Sarebbe forse più esatto parlare di una sostanziale «non-personalità», dal momento che il preamplificatore Rotel è fuor di dubbio macchina precipuamente trasparente, che ben poco aggiunge o toglie al messaggio, prodigandosi in un lavoro teso essenzialmente all’analisi ed assai meno alla sintesi. Incisioni oltremodo rivelatrici circa le capacità introspettive d’un oggetto da musica, come il «Quintetto a Fiato del ‘900» e «Pietro Antonio Locatelli: Sei Introduttioni Teatrali Op. IV …» (rispettivamente n. 4 e n. 5 del catalogo AUDIOrecords), vengono digerite con estrema disinvoltura dal Rotel, che ripropone una puntigliosa ricostruzione,
d’ambienza, magniloquente nell’esibizione del particolare e della minuzia, temporalmente coerente sia su piccola che su grande scala. La buona estensione lungo le direttrici trasversale ed ortogonale, ancorché lievemente penalizzata dal non generosissimo sviluppo verticale, conferisce all’impianto scenico il necessario «spazio vitale», sgombrando il campo da paradossali, grottesche, oltre che poco edificanti «ammucchiate» degli esecutori, i quali, al contrario, paiono disporsi con ordine, razionalità e non senza una punta di signorile sussiego, in postazioni spazialmente verosimili e costantemente localizzabili senza sforzi di concentrazione.

La freschezza dei fiati (AUDIOrecord n. 4), l’agilità dell’archeggio (AUDIOrecord n. 5), impreziosiscono non poco un’interpretazione che qualitativamente non sembra prestare il fianco al minimo appunto che non sia dettato da una pervicace ricerca della perfezione, ovvero dalla soggettività di alcuni parametri estetici. In quest’ottica potremmo ravvisare una vena di freddezza dell’acuto e medio-acuto, un certo «distacco» nelle zone alte, apparentemente ascrivibili a quella che in prima battuta definiremmo come latitanza di calore, di «anima», ma che in verità, appare del tutto conforme alla natura di questo Rotel.

Macchina che, come si diceva poc’anzi, scopre fin da subito le proprie carte, palesando una forte inclinazione per la «sostanza» della musica, intesa nella sua totalità, non trascurando cioè, anche gli indispensabili elementi di contorno, concedendo, al contempo, ben poco spazio a sofismi e spunti manieristici. La mano
sicura e, perché no, saggia, del pre Rotel, ci consegna un ritratto dell’orchestra da camera tracciato con linee precise, fondamentalmente sgombro da sbavature o equivoci timbrici avvilenti il prezioso incedere degli archi, vitali e brillanti, naturalmente aggraziati ma non leziosi, in splendido contrappunto con un clavicembalo forse leggermente dilatato nelle dimensioni quantunque riuscito amalgama di brio e metallico dinamismo, sempre perfettamente isolabile dal contesto, anche durante il mascheramento operato dai pieni orchestrali.

L’eccellente jazz acustico contenuto in «Akoustic Band» (Chick Corea per GRP) e «Tribute» (Keith Jarrett per ECM) è una lunga, piacevolissima parentesi, che sembra concepita su misura per confermare l’omogeneità, l’equilibrio tonale di questa elettronica senza, comunque, dimenticare di passarne al vaglio la capacità di gestire ampie e rapide escursioni dinamiche. In effetti, l’RHA-10 non sembra assolutamente aver intenzione di venir meno alle lusinghiere premesse, evitando, tetragono, sottolineature ed enfasi, dedicando, con equità, la medesima attenzione ad ogni componente timbrica. Solo compiendo un certo sforzo, riusciamo ad avvertire, un filo di verve in più, nel registro medio, che ne esalta, in misura invero minimale, e con modalità tuttaltro che sgradevoli, «apertura» e «luminosità».

Con entrambe le incisioni la resa acustica del pianoforte si colloca su posizioni di vertice. Limpido e potente, perentorio negli attacchi, dimensionalmente credibile, lo strumento di Corea e Jarrett concede parecchi scorci d’entusiasmo, soprattutto quando decide di scapricciarsi flirtando con basso e batteria nell’insuperabile impasto del classico trio jazz. Spazzolate d’autore, assassine e felpate, piatti carezzati e deliziosamente argentini, infinitesimali bisbigli, s’alternano a vigorose raffiche di cassa, tom e rullante, ad accordi di basso dalla profondità abissale, offrendoci ben più d’una «parola di conforto» circa la vastità della gamma dinamica e
la qualità del registro basso della macchina Rotel.

La gamma media lucida ed asciutta dell’RHA-10 fa il paio con gli scarni ed intensi vocalizzi di Tracy Chapman, qui nel celeberrimo ed omonimo album d’esordio (CD Elektra). Una straordinaria sequenza di undici ballate, tanto semplici e minimali nella loro struttura, quanto dirette ed efficaci nell’evocare sentimenti e riflessioni, con la voce della singer di Cleveland a far da protagonista assoluta. L’inconfondibile timbro vocale della Chapman si dipana, inequivocabilmente intelligibile, tra i circuiti del Rotel, giustamente valorizzato nei suoi accenti drammatici e nelle digressioni malinconiche, accompagnato da un superbo
effetto presenza che vede il suo apogeo in «Behind the Wall»: due minuti scarsi di voce «stand-alone».

Una manciata di secondi di formidabile ambivalenza emotiva, per chi, nell’occasione, siede di fronte ai diffusori: schegge di cruda denuncia sociale e sconcertante consistenza materica, in una sintesi dirompente, capace d’incrinare anche il più roccioso dei cuori. Negli altri pezzi — su tutti «Talkin’ Bout A Revolution» e «For My Lover» — il tema, dominante, delle chitarre acustiche appare sviluppato con accuratezza e lucidità tali che l’esatta intuizione della consistenza del colpo di plettro e della tensione delle corde è qualcosa di realmente a portata di mano.

Nemmeno il radicale stravolgimento dei termini del gioco, vale a dire il trionfo dei suoni ad alta tecnologia di «Heartbeat» (CD Virgin), ultima pièce d’un ispiratissimo Ryuichi Sakamoto, sembra riuscire ad introdurre elementi destabilizzanti nella splendida «routine» del pre nipponico. Anche a livelli alquanto sostenuti e con le percussioni sintetiche a rimestare i visceri, il Rotel non tradisce la sua impostazione che non esiteremmo a definire rigorosa, super partes; che pretende ed ottiene la giusta dimensione e collocazione d’ogni tassello, che concede il massimo spazio alla musica. Via libera dunque alla «World-music» di Sakamoto; dodici tracce dove nulla è banale e tutto stupisce e appassiona, un impegno preso con la musica e perfettamente rispettato per tutti i cinquantadue
minuti di durata del CD. Cinquantadue minuti durante i quali l’RHA-10, pur svolgendo nella massima discrezione il proprio lavoro, non può sottrarsi a più d’un’occhiata di compiacimento e consenso.

Il Rotel RHA-10, in definitiva, rappresenta l’ennesima e speriamo una delle ultime spallate al muro dei residui pregiudizi nei confronti dell’alta fedeltà espressa dai marchi consumer nipponici. I vecchi vizi sembrano del tutto dimenticati e gli insegnamenti appresi alla perfezione. Rotel, tra di essi, è certamente quello che può vantare la maggiore esperienza ed anzianità di militanza nel settore audiophile, e non esita a dimostrarcelo con questo RHA-10. Una macchina di gran classe sotto tutti i punti di vista, che non sfigura nel confronto con le realizzazioni della miglior scuola europea o americana, ma che dalla sua può vantare un prezzo, questo sì, da vera «made in Japan».

Alessandro Casalini


Rotel RHA-10
Distributore per l’Italia: Audiogamma
Via Pietro Calvi, 16 – 20129 Milano
Tei. 02/55181610.
Prezzo: L. 2.650.000.


da AUDIOreview n. 125 marzo 1993