Spesso dell’acustica si raccontano luci e ombre…
raramente suoni e silenzi…
1. L’acustica architettonica dell’Auditorium
Materiali e struttura
Spesso s’è detto che forma e materiali dell’Auditorium siano stati ispirati al violino. La scelta del ciliegio, o scelte formali come la cassa armonica del violino, assumono valenze alchemiche, più che scientifiche (nell’ambito delle casse acustiche si ricorda l’operazione Guarneri proposta dalla Sonus Faber – AUDIOreview n. 129/132).
Un violino nasce secondo generali regole acustiche comuni a qualunque altro oggetto acustico; materiali, forme e superfici si rincorrono modellandosi e qualificandosi a vicenda, alla ricerca della “giusta” chiusura del cerchio “tridimensionale”, ovvero della sfera acustica. Ma la regola generale non può non guardare, quando calata nello specifico, all’imprescindibilità tra materia e tridimensionalità. La variabilità del fenomeno acustico, nel tempo e in frequenza, impone progettualmente, idealmente, una sorta di quadratura del cerchio.
E, spesso, procedura generale e applicazione specifica non vanno d’accordo. La variabilità delle caratteristiche di emissione (lunghezza d’onda, livello, fase, direttività, pressione, ecc…) impone modellazioni differenti in funzione della dimensione dell’oggetto acustico da progettare. La forma che scaturisce da due oggetti di differenti dimensioni, ipotizzando per assurdo la stessa funzione e destinazione d’uso, sarà pertanto assolutamente differente. Violino e sala acustica sono “animali acustici” di specie diversa.
Appare quindi eccessiva l’attenzione prestata alla qualità liminare dell’essenza lignea, ciliegio americano, considerando che le differenze di potere fonoisolante tra le varie essenze lignee sono minime (escludiamo i legni morbidi – balsa – o duri, Fig. 1).

Figura 1 – Coefficienti di assorbimento di alcune essenze lignee (esclusi i legni morbidi – balsa – o duri – radica).
Tanta attenzione microscopica appare ancor più paradossale nell’acustica attuale a fronte della modalità d’analisi standard della performance acustica, consistente in una macroscopica analisi per ottave, estremamente limitata e interna a tutta la letteratura attuale in materia. Cosa succede tra un’ottava e l’altra non è dato saperlo… chi è più scrupoloso supera autonomamente il limite delle ottave e passa all’analisi continua (anche se il rilevamento del T60 è ancora estremamente oneroso in termini elettronici e la suddivisione per ottave appare la soluzione più agevole).
Il cemento è attualmente il materiale strutturale di gran parte degli edifici della musica. Le considerazioni in questo senso sono particolari e coinvolgono grandezze generalmente ritenute piccole nell’ambito dell’acustica. Il cemento, in quanto elemento strutturale, non coinvolge direttamente il comportamento acustico della sala, strettamente legato al potere fonoassorbente dei materiali e all’apporto risonante degli stessi (Fig. 2).

Figura 2 Assorbimento per risonanza di cavità: effetto dello spessore sull’andamento del coefficiente di assorbimento.
Il cemento è spesso interno alla tamponatura muraria, la quale non svolge alcuna portanza. La struttura muraria è spesso svincolata (come nel caso dell’Auditorium) in termini vibrazionali dalla struttura portante in cemento armato. Non si parla di vibrazioni sismiche (fuori dal campo dell’udibile e per le quali le frequenze critiche – pulsazione Ω – ruotano intorno a valori compresi tra 2 e 5 Hz – o 0.1 sec. per piano), ma di frequenze in grado di portare in vibrazione acustica la struttura che, non riuscendo a dissipare l’energia acustica, la trasforma in energia cinetica, alterando suono e proprietà fonoassorbenti e fonoisolanti dei materiali (quest’ultime interessano l’ambiente relativamente all’energia di ritorno emessa dall’ambiente stesso negli ambienti contigui).
Questo può accadere maggiormente quando si è in presenza di grandi sollecitazioni (come nel caso della musica amplificata). In genere tutto ciò è ritenuto causa di partecipazioni acustiche trascurabili. Eppure non sono pochi gli elementi che vedono nelle caratteristiche del cemento armato le cause di piccole alterazioni sonore. Alla maggiore elasticità del cemento armato fa da contr’altare il comportamento prevalentemente monodirezionale della muratura in mattoni. A parità di resistenza meccanica a sforzo normale (N) può essere interessante rilevare come, in condizioni generiche, la muratura in mattoni pieni, legati con malta cementizia, possa sviluppare una superficie anche tre volte superiore a quella equivalente in cemento armato. Allo stesso modo la massa può presentare lo stesso rapporto (su queste pagine potete trovare un box pag. 32-33 con un interessante inciso sulle caratteristiche del cemento armato) con evidenti implicazioni con il potere fonoisolante e con il comportamento risonante.
Da qui possono scaturire diverse considerazioni su diversi aspetti (vibrazionali, fonoisolanti, pellicolari, ecc…). In tutto ciò appare ancora poco sfruttata la peculiarità più significativa del cemento: la facile “plasmabilità” tridimensionale. Questa renderebbe possibile il trattamento a stampo per caratterizzare in vari modi, a basso o alto rilievo, l’andamento superficiale del materiale. Con l’uso di casseri speciali è possibile ottenere anche complessi rilievi superficiali progettati in funzione di specifici comportamenti acustici diffondenti (analogamente alla teoria di Schroeder). In questo modo il cassero si sostituirebbe al pannello applicato, ottimizzando i costi dei trattamenti superficiali.
Considerazioni distributive e funzionali
In breve alcuni appunti sulla fruibilità del parco della musica. La Figura 3 mostra l’altezza di una delle due rampe di sicurezza della sala media… circa 192 cm!

Figura 3 – L’altezza di una delle due rampe di sicurezza della sala media… circa 192 cm!
Sempre sul tema delle altezze, a fronte dei numerosi terrazzamenti della sala grande, appare minima la quantità e la capienza degli ascensori (Fig. 4).

Figura 4 – Sala Santa Cecilia: uno degli ascensori che porta alle varie gallerie.
Splendidi i bagni, eleganti e funzionali (Fig. 5).

Figura 5 – Un omaggio ai bagni: raramente sono così ben progettati e ben realizzati, sia sotto il profilo igienico-sanitario che sotto quello dell’arredo-architettonico alla piccola scala.
Splendide e comode le sedie della Frau ma, nel caso della galleria della sala piccola, l’interasse tra una e l’altra è insufficiente anche per una persona di altezza media. Si affacciano i primi segni del tempo: nella sala grande si comincia a notare il disallineamento e, in qualche punto, il distacco dei rivestimenti lignei (impiallacciatura) delle vele dai “gusci” in vetroresina (Fig. 6).

Figura 6 – Nella sala grande si comincia a notare il disallineamento e, in qualche punto, il distacco dei rivestimenti lignei (in impiallacciatura) sulle “vele” (gusci) in vetroresina.
L’impianto di condizionamento è uno dei punti più critici di qualunque involucro acustico (unitamente alle canalizzazioni elettriche e idrauliche che rompono la continuità delle murature). Le canalizzazioni e il plenum (la cavità sotto le poltrone, Fig. 7) sono elementi risonanti che possono interferire acusticamente sia in modo costruttivo che distruttivo. Nel caso dell’Auditorium possiamo osservare la piattaforma del plenum d’aerazione con le forature per le bocchette di immissione dell’aria. Da una semplice analisi visiva non è facile capire l’apporto risonante di questo plenum.

Figura 7 – L’impianto di condizionamento è uno dei punti deboli di qualunque involucro acustico. Le canalizzazioni e il plenum (la cavità sotto le poltrone) sono elementi risonanti che possono interferire acusticamente sia in modo costruttivo che distruttivo (in foto, la sala media).
Quello che possiamo dire è che l’assorbimento prodotto dal plenum è quello definito “per risonanza di cavità”, condizione che può aumentare la dissipazione dell’energia in bassa frequenza (in particolare quando la cavità è rivestita di materiale altamente poroso) e aggiungere qualche accentuazione a monte della risonanza fondamentale. In questo senso possiamo osservare la curva (Fig. 8) che descrive i tempi di riverberazione rilevati strumentalmente nella sala grande da Fabrizio D’Ovidio (esperto tecnico del suono e impiantista audio e video, che ringraziamo per la disponibilità e l’attenzione).

Figura 8 – La curva descrive i tempi di riverberazione rilevati strumentalmente nella sala grande da Fabrizio D’Ovidio (esperto tecnico del suono e impiantista audio e video, che ringraziamo per la disponibilità e l’attenzione). In nero la risposta del tempo di riverberazione medio. L’andamento ad “esse” mostra il consistente assorbimento in medio-bassa (tra 125 e 250 Hz) frequenza con risalita tra 1000 e 2000 Hz.
In nero la risposta del tempo di riverberazione medio. L’andamento ad “esse” mostra il consistente assorbimento in medio-bassa (tra 125 e 250 Hz) frequenza con risalita tra 1000 e 2000 Hz. Appare possibile la partecipazione del plenum in termini di risonanza di cavità, ma è difficile stabilirne la distribuzione dissipante/rinforzante (notare lo spessore del plenum visibile nella fotografia della sala media – Fig. 7).
2. LA SALA SINOPOLI (sala media – 1200 posti)
La scelta di progettare la sala media in modo flessibile permette di conformare l’ambiente come un teatro o come un’arena, passando da un assetto assiale a quello centrale (Fig. 9). La soluzione assiale coinvolge i posti laterali in modo rigidamente ortogonale rispetto all’asse longitudinale della sala. Questo determina una condizione di ascolto e di visione disassata rispetto alla sorgente. Ciò potrebbe essere ritenuto “fisiologico” rispetto alla scelta architettonica operata; allora perché non pensare a delle poltrone che permettano una leggera rotazione favorendo il corretto orientamento del corpo con la testa…

Figura 9 – Un luogo acustico può essere conformato come un teatro o come un’arena, passando da un assetto assiale a quello centrale. Il punto debole è la disposizione dell’orchestra.
La sala Sinopoli ha “brevettato” il torcicollo. Inoltre una gran fetta di posti laterali, quelli al ridosso del palco (Fig. 10), è ancora più penalizzata essendo prospiciente l’impianto di amplificazione (casse acustiche, piantane, tralicci, ecc…) che occulta la visibilità del palco. Una sala che vuole suonare in più modi deve prevedere il modo per essere flessibile non solo architettonicamente (si può smontare la platea e trasformare la sala in arena) ma anche acusticamente. Deve prevedere luogo e modalità di collocazione e orientamento dell’amplificazione attiva; anche se questo sappiamo che è stato un “valore” aggiunto.

Figura 10 – La sala Sinopoli (media) è flessibile e permette di conformare l’ambiente come un teatro o come un’arena, passando da un assetto assiale a quello centrale; con le sue due gallerie laterali assume una conformazione volumetrica che tende al cubico.
La forma della platea e dell’orchestra
Con il palco circolare si vede e si ascolta meglio, a patto di amplificare le sorgenti. L’utilizzo di casse acustiche amplificate permette di distribuire puntualmente il segnale lungo il perimetro del palco in modo da “illuminare” acusticamente, con buon equilibrio, la platea circostante (in funzione del diagramma polare di radiazione delle singole sorgenti). Saranno solo i musicisti ad offrire le spalle e non il segnale, il cui contenuto non sarà alterato da particolari condizioni angolari inficianti la componente di emissione direttiva del trasduttore. Inoltre, a parte le occasionali spalle del cantante e di qualche musicista, saranno molte di più le persone che sentiranno meglio e vedranno meglio, essendo (a parità di spettatori) la distanza massima dal palco sempre minore nel caso circolare che nel caso lineare (Fig. 9).
Ma se la sorgente è passiva (acustica orchestrale), allora il vantaggio è solo visivo. Chi avrà di spalle i musicisti sarà soggetto ad un vero taglio acustico della direttività; al variare dell’angolo di ascolto, i suoni saranno “tagliati” acusticamente e diminuiti, progressivamente, di livello all’aumentare della frequenza. Pertanto, in ambito non amplificato, le motivazioni per configurare centralmente la sala media sono inconsistenti. Con questo assetto la condizione amplificata appare l’unica soluzione possibile, dove le sorgenti possono essere moltiplicate e orientate a piacere in qualunque luogo e direzione. Per contro l’assetto circolare delle sorgenti amplificate appare difficilmente gestibile in relazione alle caratteristiche riverberanti dell’ambiente. L’unica soluzione possibile per questo tipo di assetto sono gli incontri di pugilato… (l’ironia è nell’assetto e non nel “pugilato”).
E l’acustica non è come il pugilato, dove il pugile si gira, si muove, l’acustica è “statica”, è direzionale; il musicista rimane fermo e orienta l’emissione in alta frequenza del suo strumento in una direzione prevalente, entro un certo angolo di emissione, variabile e incrementabile al crescere della frequenza (e in funzione della dimensione della membrana d’emissione), ma sempre molto stretto.
L’emiciclo della cavea
Ben riuscita l’acustica all’aperto della cavea (la piazzetta – Fig. 11), devastata, purtroppo, dalla vicinanza con l’asse stradale antistante. Il concerto “Carmina Burana” di Carl Orff, diretto da Nicola Luisotti, Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, è stato spesso disturbato dallo smarmittato di passaggio. La soluzione non vede alternative: chiudere la strada al traffico. Altrimenti meglio programmare nella cavea solo concerti amplificati che, grazie all’elevata potenza in gioco, “coprono” agilmente le emissioni indesiderate.

Figura 11 – Vista della “Cavea” dell’Auditorium poco prima dell’inizio del concerto “La Notte della Taranta”, spettacolo splendido con il geniale Stewart Copeland e con la partecipazione speciale di Mauro Pagani e Raiz. Il solo appunto che si può fare alla “Cavea” è in merito ai sedili removibili, che con il loro corto schienale spaccano letteralmente la schiena.

Figura 12 – Disposizione degli strumenti: il posto degli orchestrali è stabilito dal direttore, che guida l’orchestra nelle esecuzioni. Primi e secondi violini si trovano abitualmente alla sinistra del direttore, le viole, i violoncelli e i contrabbassi sulla destra. I fiati sono di fronte al direttore ma dietro gli archi, e le percussioni in fondo a tutti.

Figura 13
3. SALA SANTA CECILIA (sala grande – 2700 posti)
Prova d’ascolto
Valutazioni in ambito non amplificato relative all’ascolto della prova d’orchestra del concerto dedicato a R. Strass (“Vita da eroe”, “La danza dei sette veli”) diretto da Jeffrey Tate (10 maggio 2003) e del concerto* diretto da George Pehlivanian (24 maggio 2003) (musiche di: Varèse – “Octandre per fiati”; Gruber – “Aerial”, concerto per tromba e orchestra, prima esecuzione italiana; R. Strauss – “Don Juan, poema sinfonico per grande orchestra, op.20”; “Der Rosenkavalier” [Il cavaliere della rosa], suite dall’opera, op.59).
Per l’ascolto della sala grande sono stati scelti due posti dalle caratteristiche acustiche diverse. Uno in platea e uno in galleria (Fig. 14). A fronte di un’esperienza così importante, si è pensato di produrre anche una valutazione “quantitativa”, che affiancasse direttamente quella qualitativa legata alle impressioni dell’ascolto. Una sorta di triangolazione per valutare meglio l’attendibilità delle impressioni di ascolto. La simulazione software non può emulare la particolare sollecitazione dell’orchestra1. I tempi di riverberazione rilevati strumentalmente sono funzione di sorgenti direzionali. I punti di rilevamento in questo caso differiscono da quelli relativi al rilevamento strumentale dei concerti.

Figura 14 – Per l’ascolto della sala grande sono stati scelti due posti dalle caratteristiche acustiche diverse. Uno in platea (B1) e uno in galleria (B2).
Elementi al contorno
Prima di procedere con l’analisi, una puntualizzazione… Qual è il giusto livello isofonico in grado di rappresentare univocamente le “bizzarrie” della sollecitazione musicale? Nessuno. Pertanto le analisi sono relative alla sola condizione lineare (escludendo la ponderazione in A).
La simulazione con Ramsete è stata fatta con il pieno di persone e con legno verniciato. Il leggero contenimento del tempo di riverbero simulato rispetto a quello misurato da Fabrizio D’Ovidio può essere dovuto alla partecipazione non simulabile per “risonanza di cavità” del plenum e alla differenza tra sala piena e sala vuota (condizione quest’ultima del rilevamento strumentale).
Teoricamente le poltrone devono offrire un’interazione con il suono, in termini di fonoassorbenza, analoga a quella di una persona seduta, per non modificare l’assetto acustico in funzione delle differenti quantità di pubblico. Ma nella realtà le cose sono più complesse e guardano anche alla geometria e non solo alla fonoassorbenza del materiale.
La registrazione come misura
Le misurazioni dei concerti* sono state analizzate prendendo campioni di segnale con caratteristiche di risposta in frequenza differenti, che descrivessero andamenti eterogenei (esclusi ovviamente gli applausi). In questo modo si è voluto testare il comportamento della sala rispetto a sollecitazioni reali eterogenee. Cambiando la risposta in frequenza della sollecitazione cambia la risposta in frequenza della sala. Due Leq nei due punti della sala possono determinare un Leq relativo assolutamente diverso da quello che si otterrebbe se quei due punti fossero sollecitati con altri due segnali (es. 500 e 800 Hz), che potrebbero essere, per estremizzare il concetto, entrambi soggetti a cancellazione e fornire un Leq relativo addirittura nullo. In sostanza, i livelli equivalenti rilevati parzializzati a singole frequenze possono avere valori differenti tra loro e il loro andamento complessivo e relativo può descrivere ondulazioni molto diverse nei vari punti della sala.
Le misurazioni sono state effettuate in galleria e in platea (Fig. 14). Tra un tempo musicale e l’altro sono state invertite le postazioni. Il cambio di posto ha permesso di controllare il processo incrociando le analisi, verificando il differente apporto della sala al variare del segnale, alimentando anche il dibattito qualitativo sulle impressioni di ascolto. Le analisi sono state effettuate con Cool Edit, con il quale è stata rilevata la media dei livelli sui due canali (L/R), e con AfW, che dalla finestra strumenti permette di accedere alla funzione “elaborazioni/analisi su sequenze PCM” con varie analisi sul segnale (livello massimo, medio, massimo/tempo, ecc…). Nel nostro caso è stata sommata l’emissione L/R analizzando il segnale in mono prendendo in considerazione l’andamento medio e massimo della risposta in frequenza del brano campione rappresentato a sesti d’ottava.
I risultati
In Figura 15 una schermata tipo di un segmento campione del concerto che offre, ovviamente, sollecitazioni molto differenziate. Ad esempio, la seconda parte del concerto presentava momenti musicali con suoni alti, con emissione in frequenza articolata e, soprattutto, con suoni emessi in modo continuo. La prima parte, in particolare la prima tranche analizzata, era “compositivamente” più dilatata, con suoni più lunghi in particolare nell’intorno delle frequenze medio-basse (200-400 Hz), luogo dove la sala si è dimostrata più assorbente sia nelle simulazioni che nelle misure dei tempi di riverberazione (anche nel concerto del trio di Pat Metheny il contrabbasso era lo strumento meno in evidenza). Non a caso la differenza maggiore tra i due punti di rilevamento (2,64 dB, ad appena 0,26 dB dalla condizione anecoica 2) è stata riscontrata con questa tipologia di sollecitazione (centrata a circa 300 Hz).

Figura 15 – Schermata tipo delle elaborazioni operate sui campioni musicali.
Gli estremi di 0,35 e 2,64 dB ben rappresentano l’eterogeneità musicale dei campioni presi in esame (Fig. 17), che hanno interagito con l’ambiente in modo diverso fornendo valori diversi di Leq medio (livello equivalente). La propagazione del suono in ambiente cambia in funzione della frequenza col variare della risposta assorbente della sala. A fronte di tale variabilità è interessante valutare l’effetto medio della propagazione del suono, che con il valore di 1,35 dB (Fig. 16) indica un buon comportamento diffondente della sala. Per contrappasso, la configurazione diffondente (che mira all’equilibrio energetico della sala) può generare un comportamento eterogeneo in termini di risposta in frequenza. La sala, quindi, come qualunque luogo acustico, si comporta in modo differente al variare della sollecitazione fornendo valori diversi (Leq), evidenziando un buon comportamento diffusivo che incrementa all’aumentare della sollecitazione e dell’estensione in frequenza della sollecitazione.

Figura 16 – Il livello medio di tutti i campioni musicali presi in esame può essere ritenuto più interessante. Se fossimo in campo libero, la diminuzione di livello tra i due punti di rilevamento (B1 – B2) corrisponderebbe a circa 2,7 dB.

Figura 17 – Risposte in frequenza medie dei vari campioni musicali presi in esame.
Analisi dell’acustica architettonica e delle simulazioni
La cosa che salta subito all’occhio è il luogo dell’orchestra, che presenta il piano di caricamento verticale (la parete posteriore all’orchestra) troppo esiguo per estensione superficiale. L’alveo appare sufficiente per estensione orizzontale e insufficiente verticalmente; la parete di caricamento deve poter riflettere gran parte dell’evento acustico in funzione della conformazione parietale oltre l’alveo dell’orchestra e della struttura generale dell’Auditorium. Gran parte della sensazione uditiva di basso livello acustico e di poco corpo in bassa frequenza può essere anche dovuto a questa precisa conformazione acustico-architettonica.
Nelle Figure 18-19 è possibile vedere il rapporto acustico-architettonico che intercorre tra i deflettori e l’insieme rappresentato dall’alveo dell’orchestra/parete di caricamento posteriore/soffitto. I tre “componenti spaziali” concorrono al reindirizzamento dell’energia emessa posteriormente dalla sorgente, soprattutto quella emessa in bassa e medio-bassa frequenza che, grazie alla caratteristica di omnidirezionalità, può essere incrementata di livello tramite riflessione (incremento pari a 6 dB teorici su emissione piana – 2 π – condizione teorica elementare).

Figure 18 e 19 – Nell’immagine è possibile vedere il rapporto acustico-architettonico che intercorre tra i deflettori e l’insieme rappresentato dall’alveo dell’orchestra/parete di caricamento posteriore/soffitto.
Tale configurazione spaziale di per sé non costituisce un problema reale, tant’è che è possibile trovare numerosi esempi di auditorium con gallerie posteriori3 [8] [9] [10] in cui si può apprezzare una buona acustica. Ciò è possibile a patto di ricordare che la platea posteriore svolge un’azione assorbente molto forte. In quest’ottica l’alveo dell’orchestra deve essere in grado di reindirizzare, verso la platea, l’energia acustica. Un’altra considerazione riguarda la notevole profondità della galleria posteriore che “allontana” acusticamente l’esigua superficie posteriore, rendendo ancora più difficoltosa la riflessione dell’energia acustica diretta.
Un’importante funzione di reindirizzamento a carattere diffusivo delle riflessioni, calcolata in funzione dell’orientamento delle diverse gallerie, è affidata alla particolare conformazione del soffitto “velato”. Il prolungamento delle “vele” fino alla parte posteriore dell’orchestra estende il comportamento diffusivo in questa zona dove si vorrebbe un comportamento più impattivo ed energetico ottenibile attraverso riflessioni normalizzate. La diffusione si ottiene per diffrazione e per un’articolata e studiata eterogeneità dell’incidenza angolare (fase) della riflessione. In questo senso i gusci, grazie alla loro conformazione a doppio raggio di curvatura, svolgono, rispetto alla riflessione, un’azione complessa di reindirizzamento angolare, mentre i profondi “canali” tra i gusci svolgono un’azione mista: dissipante attraverso la velocizzazione del rimbalzo delle onde la cui lunghezza sia inferiore alla larghezza del canale; risonante e caricante per le lunghezze d’onda più grandi della larghezza del canale.
Condizioni geometriche così articolate tendono, quindi, ad accentuare il delicato rapporto tra lunghezza d’onda e dimensione-conformazione dello spazio in funzione della propagazione della riflessione. Frequenza e direttività possono interlacciarsi in modo critico e, in casi come il soffitto dell’Auditorium, i profondi canali (a sezione esponenziale) tra un guscio e l’altro possono svolgere un’eccessiva attenuazione dell’apporto riflettente-caricante in medio-bassa e bassa frequenza. Il soffitto generalmente deve svolgere una discreta azione fonoassorbente, per non interferire eccessivamente sul contenuto “stereofonico” offerto dalle riflessioni provenienti dalle pareti laterali. Ma il contenuto in bassa frequenza è bene che venga riflesso e portato in caricamento anche dal soffitto, incrementando la piacevole sensazione di corposità del suono. In tutto ciò, la soluzione del soffitto appare certamente come l’elemento più innovativo e caratterizzante di tutta la sala.
Il soffitto è il principale artefice dell’uniformità del livello complessivo lungo tutta l’estensione dell’ambiente. La Figura 20 mostra la distribuzione acustico-architettonica dei gusci. Appare chiaro il comportamento diffondente a fronte della loro collocazione geometrica. Il gioco è quello del contrasto tra forma e materiali; elementi curvi, a doppio raggio di curvatura, “guardano” le superfici piane delle pareti verticali e delle pavimentazioni (platea e gallerie) – al contempo il basso contenuto fonoassorbente del legno (e del suo trattamento superficiale) si confronta con l’alto potere fonoassorbente delle poltrone e (alias) delle persone.

Figura 20 – La fotografia mostra la distribuzione acustico-architettonica dei gusci che producono un comportamento diffondente.
Le lenti acustiche, orientate verso la platea, non guardano le gallerie posteriori. Se da una parte l’orientamento scelto può essere interpretato come un’ammissione del debole comportamento energetico del soffitto con conseguente bisogno di aumentare e velocizzare l’energia da indirizzare verso la platea, dall’altro appare acusticamente “sleale” non coinvolgere gli spettatori posteriori già penalizzati dal fisiologico taglio della direttività (dovuto alla direttività di emissione dello strumento musicale, funzione della sua conformazione geometrica e della sua posizione rispetto al corpo del musicista), per i quali sarebbe doveroso prevedere un adeguato “illuminamento” acustico.
Ambienti grandi spingono la progettazione verso il contenimento delle riflessioni per abbassare il tempo di riverberazione (che potrebbe arrivare al punto di distanziare troppo la percezione del suono diretto da quello riflesso). Semplificando si può dire che il contenimento della riverberazione può essere ottenuto agendo in due direzioni: attraverso le unità assorbenti dei materiali, o attraverso elementi e geometrie che diffondano l’energia in più direzioni, in modo da abbassare il contenuto energetico di ritorno attraverso accorciamenti e angolazioni delle incidenze (percorsi delle riflessioni) e variazioni delle rotazioni di fase.
Il percorso delle riflessioni nei grandi ambienti viene spesso regolato da terrazzamenti, che spezzano la continuità spaziale conformando l’ambiente in tanti sottoinsiemi ambientali. Ogni terrazzamento crea una sorta di “microclima” acustico, dove la parete posteriore del terrazzamento accorcia la riflessione anticipando e mascherando la riflessione più lontana portata dalle lontane pareti perimetrali della sala. La condizione diffusiva ha conseguentemente abbassato la riverberazione e il livello complessivo percepito; tutti sentono grossomodo allo stesso livello ma sentono basso. La soluzione alternativa, ovvero quella di lavorare con materiali altamente assorbenti, avrebbe prodotto effetti comportamentali analoghi; il suono sarebbe apparso comunque basso di livello ma sarebbe peggiorato rispetto alla focalizzazione, con un comportamento più discontinuo della sala in termini di sollecitazione acustica.
Fermo restando che una sala di queste dimensioni è acusticamente “rischiosa”, si può dire che si sia scelta la strada giusta ma, calibrando cautelativamente le tolleranze di calcolo, si sia ecceduto nell’attenuazione degli apporti riverberanti attraverso un eccessivo apporto diffondente. Più corretto sarebbe stato adottare una diffusione differenziata, maggiormente direttiva e canalizzata in alcune zone della sala, che tenesse conto anche della necessità di caricamento posteriore.
Le Figure 21A-21B rappresentano una possibile simulazione acustica del Leq della sala grande (Santa Cecilia, sala 2700) effettuata con il programma Ramsete4. La distribuzione dei livelli, in questo caso relativa al piano platea, è leggibile attraverso scala cromatica bidimensionale (minimo e massimo in auto-range). Sull’ottimale distribuzione dei livelli ci sono diverse teorie, che possono essere riassunte in due posizioni antitetiche: una ricerca la distribuzione omogenea dei livelli equivalenti all’interno dell’intera superficie della sala; l’altra privilegia la linearità della risposta in frequenza nei singoli punti d’ascolto.

Figure 21A-21B – Simulazione acustica del Leq della sala grande (Santa Cecilia, sala 2700), effettuata con il programma Ramsete.
La potenzialità della simulazione risulta evidente; ovviamente potrebbe spingersi verso analisi più complete e dettagliate, in relazione al livello di approfondimento che si vuole ottenere.
La Figura 22 mostra la simulazione dell’indice LF, “Lateral Energy Fraction”, della sala Santa Cecilia. L’indice LF rappresenta l’effetto di “enveloping” (inviluppo) all’interno del campo sonoro dovuto all’effetto di focalizzazione delle riflessioni. Tale valore è tanto più basso quanto l’ascoltatore è più vicino alla sorgente e lontano dalle pareti (minore di 0,4). In presenza di riflessioni laterali prodotte dalle superfici vicine, l’indice assume valori più elevati.

Figura 22 – Simulazione dell’indice LF, “Lateral Energy Fraction”, della sala Santa Cecilia.
Le Figure 23A-23B mostrano l’indice di Chiarezza C80 (finestratura temporale a 80 ms). Definito come la differenza, espressa in decibel, dell’energia sonora diretta e riflessa che arriva nei primi 80 ms e tutta l’energia sonora che arriva all’ascoltatore oltre 80 ms, è un descrittore della percezione soggettiva di nitidezza della musica. Da un punto di vista soggettivo, la chiarezza dell’ascolto, in un punto della sala, è legata alla parte iniziale della riverberazione, mentre la rimanente parte contribuisce negativamente e/o risulta indifferente alla chiarezza stessa. L’intervallo nel tempo della parte utile è legato al tempo di integrazione dell’orecchio umano, cioè all’intervallo in cui l’energia riverberata viene associata al suono emesso; la chiarezza del messaggio è quindi legata ad un tempo di integrazione di 50 ms per la parola e di 80 ms per la musica. I valori ottimali dell’indice di chiarezza sono compresi tra ±2 e -2 per la musica sinfonica.

Figure 23A-23B – Indice di Chiarezza C80 definito come la differenza, espressa in decibel, dell’energia sonora diretta e riflessa che arriva nei primi 80 ms e tutta l’energia sonora che arriva all’ascoltatore (oltre 80 ms).
Ad un buon C80 generalmente non corrisponde una buona intelligibilità della parola (indice STI/RASTI – Figg. 24A-24B), che soffre tanto per eccessiva riverberazione quanto per poca riverberazione. L’indice RASTI rileva il livello di intelligibilità del parlato. Al di sopra di 0.6 l’intelligibilità è buona. Il RASTI dipende dai coefficienti di assorbimento e dalla grandezza dell’ambiente.

Figure 24A-24B – Indice RASTI: rileva il livello di intelligibilità del parlato (al di sopra di 0.6 l’intelligibilità è buona).
La Figura 25 mostra la simulazione dell’andamento del tempo di riverberazione (T60) confrontata con la media dei tempi di riverberazione misurati da Fabrizio D’Ovidio (curva nera). Tenendo conto delle tante difficoltà legate alla determinazione del modello equivalente, sia architettoniche che fisiche (caratteristiche specifiche dei materiali), il risultato della simulazione è in buona concordanza con il rilevamento strumentale (rilevato a sala vuota e con teli di stoffa sulla galleria posteriore – in nero la risposta del tempo di riverberazione medio) e tenendo conto che i software a tracciamento di raggio non calcolano gli apporti risonanti, nel nostro caso rappresentati dal plenum, probabile responsabile dell’attenuazione della riflessione in medio-bassa frequenza centrata tra 125 e 250 Hz e dell’esaltazione (a monte della risonanza fondamentale) tra 1000 e 2000 Hz.

Figura 25 – Simulazione dell’andamento del tempo di riverberazione (T60) confrontata con la media dei tempi di riverberazione misurati da Fabrizio D’Ovidio (curva nera).
Conclusioni
La risposta in frequenza della sala appare caratterizzata da esaltazioni in medio-alta frequenza (a cui corrisponde un indurimento sull’emissione dei fiati) e da forti attenuazioni in medio-bassa frequenza. Dal computo percettivo generale manca l’analisi in bassissima5 frequenza (sotto la frequenza di 70-80 Hz), in quanto fuori banda e non stimolata dalle esecuzioni musicali prese in esame (dal rilevamento e dalle simulazioni appare corposa e presente).
Il livello complessivo generale è molto contenuto e non si ha la sensazione del pieno orchestrale, in particolare in media e bassa frequenza (anche all’aumentare del livello), dove la risposta si linearizza (fino a circa 180 Hz) per poi risalire velocemente in bassissima frequenza (vedi Leq e T60).

Modello CAD del “carapace” della sala Santa Cecilia.
Il contenimento del livello è dovuto al consistente apporto misto, assorbente e diffondente reso necessario a fronte di tempi di riverbero fisiologicamente lunghi negli ambienti grandi. L’ascolto migliora complessivamente in prossimità delle pareti laterali grazie al contributo del fattore laterale (Lateral Energy Fraction), che porta in caricamento le basse frequenze “ingrandendo” il segnale diretto (per effetto del caricamento che produce un incremento generale delle frequenze omnidirezionali).
Contemporaneamente l’ascolto peggiora leggermente per l’eccessivo distacco tra segnale diretto e segnale riflesso (effetto di precedenza o di Haas), fenomeno in questo caso più evidente nell’intorno delle frequenze medie e medio-alte non supportate dal caricamento superficiale, che interviene entro i primi 10-20 ms. In prossimità delle pareti laterali si crea un effetto dicotomico tra basse frequenze e alte frequenze, effetto che appare comunque preferibile all’ascolto centrale e intermedio.
Conclusionissime
Una corretta progettazione acustica è possibile quando componente acustica e componente architettonica risultano verificate. In questo senso l’esempio dell’Auditorium ci permette di sottolineare la fondamentale necessità di un approccio realmente multidisciplinare [5]

L’allestimento cinematografico della sala Santa Cecilia per la presentazione del film “Fino alla fine del mondo” del regista Wim Wenders, proiettato per la prima volta nel novembre 2003 nella sua versione digitale e integrale, appositamente rimasterizzata dal regista in Dolby 5.1 (Ripley’s Home Video).
Se troppo spesso l’acustica è subordinata alla forma e il suo raggio d’azione limitato al solo intervento sui materiali, se il dato architettonico deve conformarsi a quello acustico e se la progettazione acustica non può prescindere dal dato architettonico (e viceversa), è anche vero che l’aspetto progettuale spesso non percepisce la fondamentale necessità di un approccio realmente multidisciplinare, bidirezionale e sinergico, che chiarisca e canalizzi, in modo incontrovertibile, anche usi e costumi del luogo acustico. Ogni luogo acustico è funzione di precise caratteristiche fisiche e tecniche, che dovrebbero essere espresse attraverso un manuale d’uso che agevoli l’operatore verso il migliore e cosciente utilizzo critico della sala.
Si vorrebbe essere i promotori di un ampio dibattito che sottolinei l’importanza di un approccio realmente integrato della progettazione acustica per fortificare le debolezze della tematica acustico-ambientale. La professionalità acustica italiana, in campo architettonico, tecnico e scientifico, è tra le più considerate al mondo ma, nonostante ciò, opera poco sul territorio.
I concerti rock muovono grandi folle e quindi molti soldi… perché, allora, non realizzare al più presto spazi adeguati alla musica amplificata!?
Marco Valerio Masci
Errata corrige
La prima puntata si concludeva con “incremento di livello”
Principi fondamentali di tecnologia del calcestruzzo e spunti tecnici per un “calcestruzzo acustico”
Nell’arco della sua storia il calcestruzzo ha piano piano acquistato sempre maggiore importanza e diffusione nell’ambito delle costruzioni civili. Dai primi impieghi, che risalgono ad almeno 2000 anni fa, il calcestruzzo si è incredibilmente modificato ed evoluto.
Per queste prime esperienze sarebbe più corretto, a dir la verità, parlare di utilizzo di malte idrauliche, ovvero unioni di calce aerea, materiali contenenti silice reattiva (pozzolane, per esempio) e acqua. In particolare, i Romani furono i grandi perfezionatori e promotori di questo tipo embrionale di calcestruzzo, arrivando a risultati impressionanti tramite l’utilizzo di questi materiali. Probabilmente il Pantheon rappresenta il culmine architettonico ed ingegneristico di quel periodo storico e di questo tipo di tecnologia costruttiva.
Il progresso tecnologico in questo settore non ha poi proposto importanti passi in avanti fino alla Rivoluzione Industriale, ovvero fino a quando non furono affinati e definiti dei veri e propri processi industriali capaci di produrre su grande scala calci idrauliche. A partire da questo momento comincia l’evoluzione tecnologica che avrebbe portato queste calci idrauliche a diventare i moderni cementi.
Il cemento è sempre stato considerato la parte nobile di ogni calcestruzzo. È il cemento che riesce, grazie alla reazione chimica che provoca in presenza di acqua, a tenere insieme gli altri elementi, ovvero è il cemento che funge da “legante”.
Essenziale, come abbiamo appena detto, affinché tale reazione avvenga è la presenza di acqua. La maggiore o minore adduzione di questa nel calcestruzzo ne determina, insieme ad altri fattori, la maggiore o minore lavorabilità. Un’elevata lavorabilità è spesso necessaria per consentire il corretto ed idoneo riempimento delle casseforme di getto, specie se fittamente armate o difficilmente vibrabili.
Bisogna, infatti, tenere presente che il calcestruzzo raramente sarà utilizzato da solo e questo avverrà, comunque, solo in getti di minore importanza strutturale. Nella maggior parte dei casi il calcestruzzo, ancora più o meno fluido, ovvero prima che la reazione di indurimento provocata dal cemento in presenza di acqua sia andata troppo oltre, viene gettato in delle casseforme che hanno il compito di dare al materiale indurito la particolare forma prevista dal progetto. In queste casseforme vengono disposte, prima che avvenga il getto, le armature longitudinali e trasversali che, insieme al calcestruzzo, andranno a formare il cosiddetto cemento armato. In realtà, più che a cemento armato, i testi moderni preferiscono fare riferimento al termine “conglomerato cementizio armato”, in modo da sottolineare che oltre a cemento ed armature vi sono altri elementi costituenti molto importanti.
A questo punto risulta evidente che se il materiale per riempire questi casseri è poco fluido, il personale addetto al getto incontrerà molte difficoltà a far sì che vengano riempiti tutti gli spazi vuoti fra le armature all’interno delle casseforme e risulterà quindi difficile che il lavoro venga svolto in modo appropriato.
Purtroppo l’aggiunta indiscriminata di acqua se da un lato risolve in gran parte questo tipo di problemi, dall’altro non può essere attuata se non entro certi limiti.
Nell’ambito di un getto di cemento armato, mentre alle armature in acciaio viene principalmente addebitato l’onere di sopportare gli sforzi di trazione a cui possa essere sottoposto quel particolare elemento strutturale, al calcestruzzo spetta il compito di resistere a quelli di compressione. Ovviamente entrambi i componenti danno una mano anche allo svolgimento dei “compiti” dell’altro, ma è indubbio che il calcestruzzo sia molto più resistente agli sforzi di compressione che a quelli di trazione.
La parte di acqua in una miscela di calcestruzzo è molto importante perché l’aumento di questa comporta una diminuzione sensibile delle capacità di resistenza del calcestruzzo stesso. È per questo che oggigiorno sono diventati fondamentali e sono arrivati ad un buon livello di approfondimento tecnologico i cosiddetti additivi chimici. In sostanza, il principale ruolo che questi hanno è quello di limitare l’utilizzo di acqua nella miscela garantendo la stessa consistenza. Questi additivi vengono detti superfluidificanti e ve ne sono di molti tipi e modelli. Esistono additivi estivi, invernali, aeranti, a base acrilica, più o meno spinti e via dicendo.
Infine fra i componenti storici del calcestruzzo dobbiamo includere gli aggregati. Fino a qualche anno fa ci si preoccupava ben poco della qualità degli aggregati utilizzati, dando a questi lo scopo principale di occupare volume all’interno del calcestruzzo e di consentire, di conseguenza, di limitare l’utilizzo del cemento.
La maggiore conoscenza tecnica, le normative sempre più esigenti ed una concorrenza sempre più spietata, che ha ridotto notevolmente i margini di guadagno in questo settore dell’edilizia, hanno portato ad un’attenzione molto più accentuata ad aspetti caratteristici della fornitura di aggregati, come possono essere la pulizia del materiale, la costanza di produzione e qualità, la natura della cava o del bacino di estrazione, la reattività in determinati ambienti o a determinate sostanze, la finezza e la distribuzione granulometrica. L’importanza di questo componente è fortemente aumentata in determinate zone d’Italia, dove scarseggiano cave sfruttabili o dove gli aggregati estratti, per natura geologica della zona, sono inevitabilmente di scarsa qualità.
Nei grandi cantieri italiani che si sono succeduti e che sono in corso tuttora, a partire almeno dalla fine degli anni ’80, ha sempre più preso piede la tendenza, o almeno il tentativo, di non vedere più la fornitura di calcestruzzo come quella di un prodotto di cui al massimo si richiedono i valori di resistenza, ma come di un qualcosa di cui val la pena seguire, per quanto possibile, tutto il processo “formativo”. Per esempio, nei cantieri della tratta ferroviaria ad Alta Velocità o in quelli dello sdoppiamento dell’autostrada Firenze-Bologna (nota come Variante di Valico) è il capitolato stesso che prevede tutta una serie di cadenzati controlli sugli aggregati, sugli additivi, sui cementi, sulle acque, sul calcestruzzo fresco e indurito. Questi capitolati, a volte anche molto complessi ed articolati, sono abituali già da diversi anni in lavori di questa portata (italiani e non). Col tempo si è affiancato a questi un vero e proprio Sistema Qualità di Controllo.
Quello che sconcerta è invece l’osservare cosa succede nei cantieri normali intendendo per normali quelli che non rientrano nell’ottica e, soprattutto, nella mentalità dei grandi lavori, dove la resistenza fisica sarebbe una conseguenza invece che l’obiettivo.
In sostanza, oggigiorno possiamo pretendere molto di più dal nostro calcestruzzo e non fermarci ai semplici requisiti imposti dal progetto strutturale.
Prendiamo, per esempio, il caso della costruzione di un nuovo edificio adibito ad auditorium. È purtroppo ancora diffuso un metodo di progettazione che vede succedersi cronologicamente il progetto architettonico, quello strutturale e quello impiantistico. Negli ultimi anni si è affiancato a quello impiantistico uno studio dal punto di vista acustico. Il problema è che, seguendo questo iter, l’esperto di acustica potrà influire molto poco sul complesso del progetto e dovrà, al massimo, limitarsi a richiedere alcuni accorgimenti e piccole variazioni sui progetti già definiti.
Il problema che risulta evidente è che per uno spazio adibito alla musica, ovvero dove l’acustica è fondamentale, proprio quest’ultima dovrebbe essere l’elemento progettuale centrale e non, come spesso succede tuttora, un elemento secondario. Attualmente spetta alla bravura del progettista della parte architettonica e strutturale prevedere degli accorgimenti che migliorino l’aspetto acustico ma, nei casi migliori, non essendo esperti in materia, questi accorgimenti si limitano ad aspetti distributivi, come la scelta di generiche forme geometriche che notoriamente facilitano la diffusione sonora. È così che l’esperto di acustica si trova costretto a ricorrere a rimedi come pannelli isolanti o fonoassorbenti, oppure alla modifica delle forme originarie tramite strutture aggiuntive.
La domanda che ci sembra giusto porci a questo punto è: “Perché non richiedere alle parti strutturali dell’edificio anche un contributo all’acustica dell’ambiente? Perché non far diventare anche il possesso di particolari requisiti positivi per questo scopo un elemento in base al quale progettare il nostro calcestruzzo?”.
Il calcestruzzo sembra avere, dal punto di vista tecnico, alcune possibilità concrete in questo senso.
Innanzitutto il calcestruzzo può adattarsi facilmente a forme curve disponendo di un cassero idoneo, e quindi potrebbe soddisfare facilmente particolari requisiti di forma architettonica che esaltano l’acustica degli ambienti.
In secondo luogo è un materiale dotato di una massa volumica piuttosto alta (per calcestruzzi strutturali, a seconda del tipo di aggregati utilizzati, può variare fra i 2250 kg/mc e i 2450 kg/mc) e quindi può essere un buon isolante acustico. In fondo sarebbe sufficiente che le pareti perimetrali dell’ambiente fossero progettate (ovvero ne fossero definiti lo spessore e le armature interne) in base non solo alla resistenza dell’elemento e alle normative sismiche, ma anche ai parametri acustici. Le soluzioni adottate fino a oggi consistono spesso nell’aggiunta di pannelli isolanti alle strutture già presenti. Ed è tutto da valutare se l’aumento dimensionale delle strutture sarebbe economicamente conveniente rispetto all’utilizzo di questi pannelli che, solitamente, risultano essere assai onerosi.
Infine, l’altro aspetto fondamentale da valutare è il possibile contributo di assorbimento acustico. Tale proprietà viene esaltata dalla porosità accentuata di determinati materiali. Per quanto riguarda il calcestruzzo, specie con i moderni additivi, si riscontra sempre una certa percentuale di aria presente nel calcestruzzo fresco, che porta poi ad una porosità più o meno elevata nel prodotto indurito. Il problema non è tanto il far scaturire una percentuale più alta di aria all’interno (tipo pietra pomice), quanto mantenerla e far coincidere questo con la valenza strutturale in termini di resistenza. Ma il problema non coinvolgerebbe tanto la resistenza, quanto l’aspetto superficiale del conglomerato. Il processo di emulsione potrebbe essere portato solo sullo strato di rivestimento, senza incidere sull’elemento strutturale. Trattamenti analoghi sono già conosciuti (laterite, siporex, ecc…), ma l’aspetto superficiale non è pensato finito, come faccia a vista, ma come superficie da rifinire. In sostanza, c’è la possibilità tecnica di produrre un calcestruzzo superficialmente aerato, probabilmente anche a basso costo, ma si dovrebbero fare specifiche ricerche tecniche per ovviare ai problemi di vibrazione irregolare ed estetica.
In affiancamento con la notevole lavorabilità del calcestruzzo, concordemente con quanto affermato su queste pagine, è possibile ipotizzare trattamenti superficiali a stampo (a basso o alto rilievo) che possano conformare in modo specifico la superficie del materiale. In questo modo, attraverso casseri speciali, è possibile ottenere complessi rilievi superficiali progettati in funzione di comportamenti acustici diffondenti analoghi a quelli ottenibili con i pannelli di Schroeder.
Allo stato attuale della ricerca si può quindi affermare che il calcestruzzo può dare un importante contributo in campo acustico e, impostando un controllo reale ed efficace delle forniture, può anche garantire il raggiungimento di determinate caratteristiche di cui i progettisti potrebbero cominciare a tener conto.
Fabio Bellantoni
Intervista ad Alex Britti
Voce d’esperto… vox populi
A completamento del percorso abbiamo ritenuto importante ascoltare alcune considerazioni di persone interne al mondo della musica. Abbiamo pensato ad Alex Britti in quanto, oltre ad essere un grande musicista (personalmente ritengo “Nomi” una delle più belle canzoni italiane mai scritte, per linea melodica, per arrangiamento e testo), è anche un grande esperto degli aspetti tecnici interni alla comunicazione musicale. Dopo aver suonato con molti musicisti e, soprattutto, in molti posti, Alex ci racconta le sensazioni che ha provato suonando nella sala Santa Cecilia e le sue idee in merito alle logiche di amplificazione audio. Un particolare ringraziamento a Costanza Francavilla che ha realizzato l’intervista, musicista (è la voce di Tricky nel CD “Vulnerable”), neolaureata in architettura (con una tesi in acustica) e amica di Alex.
CF: Alex, secondo te è corretto suonare musica elettrificata in un posto concepito per la musica classica?
AB: Può essere corretto dal punto di vista politico, sociale, ma non lo è in chiave acustica, essendo stato pensato per gli strumenti acustici. È anche vero che non ci sono alternative. Dal punto di vista acustico non è corretto neanche suonare negli stadi e nei palasport. All’Auditorium almeno c’è il parcheggio. Quando ho suonato all’Auditorium, ho notato che dal punto di vista sonoro è strano… Anche se sono stato “fortunato”, perché a suonare ero sempre da solo. Con solamente chitarra e voce è più difficile avere dei problemi, anche se comunque qualche problema c’è stato…
CF: Che tipo di problemi?
AB: Ma, per esempio, io sul palco non uso monitor, non mi piace, metto soltanto un po’ di voce per schiarirla… nei due monitor tradizionali davanti al cantante, e poi metto tutto sui “side”, così il sound arriva più stereofonico, ed è meglio quando ti muovi e ti senti… Quando ho suonato al chiuso, nella sala Santa Cecilia, dai “side” non arrivava nulla, perché era troppo alto il rimbombo della sala. Quindi ho dovuto mettere i “side” più vicini. Però se li metti troppo vicini non c’è più l’effetto “side”, diventano due monitor… La cosa mi ha un po’ spaesato… Però, essendo solo chitarra e voce, le cose sono andate abbastanza bene (con pochi strumenti il riverbero eccessivo incide meno percettivamente sull’intelligibilità dei suoni, ndr), mentre se ci fosse stata la batteria sarebbe stato un bel problema… Con tutto il rimbombo che c’è dentro… ci vuole una settimana per assorbire un colpo di rullante!
CF: Durante il concerto, mentre suonavi non riuscivi a sentirti bene?
AB: Insomma…
CF: Era una questione di impianto?
AB: L’impianto era accettabile, non mi sentivo bene, però era accettabile. Mentre quando ho suonato quest’estate all’aperto (nella cavea antistante le tre sale, ndr), sempre chitarra e voce, mi sentivo bene. Ma all’aperto è un’altra cosa. Anche se la cavea è in un invaso, è parzialmente chiusa; infatti, anche se ero all’aperto c’era un bel rimbombo. Con chitarra e voce andava molto bene. Con la batteria sinceramente non lo so. L’impatto dell’Auditorium in generale è bellissimo, l’interno tutto in legno, suggestivo, molto bello. Sa di “posto importante”. Strane però le tribune sul palco, di solito quello è uno spazio dell’artista, degli artisti, dei musicisti, degli attori… Quando sei a teatro ci sono le quinte, succedono delle cose… puoi avere bisogno di un fonico, di un assistente, del backline, tutte persone che gravitano nei pressi delle quinte. Se il pubblico vede i movimenti che si fanno dietro le quinte, è come andare a togliere un po’ la magia, rompi l’incantesimo dello spettacolo. Nell’Auditorium c’è addirittura una tribuna posteriore, ma non l’ho fatta usare. Non riesco a suonare con la gente alle spalle, sembra che ti “spii”. E poi cosa vedono? E cosa sentono? Dovresti puntare le casse da quella parte, cosa che abbiamo fatto sui laterali, angolando l’impianto sulle casse sospese. Anche in ambito acustico (non amplificato, ndr) se ti metti dietro l’orchestra senti male. L’impianto orchestrale ha un senso, non è un caso che il piano a coda stia davanti a tutti, gli archi, i tamburi, i flicorni, gli ottoni stanno dietro, e così via… Non è un caso. La disposizione degli orchestrali è in funzione della fisica degli strumenti; la loro disposizione regola l’emissione del suono allo stesso modo dei mixer di oggi. Sull’orchestra agisci fisicamente; il direttore d’orchestra dispone gli archi, avvicina i contrabbassi e li dispone dietro perché hanno un livello più alto, mentre i cantanti stanno davanti, in certi casi anche più avanti dell’orchestra. Il primo violino, al pari della voce, è davanti perché si deve sentire di più. Quindi, se ascolti da dietro, hai un ascolto sfalsato. Sicuramente farà molto chic raccontare che hai visto il concerto da dietro il palco, però vorrei sapere cosa hai sentito di quel concerto…
CF: L’impianto di amplificazione era quello dell’Auditorium?
AB: No
CF: Era un impianto vostro?
AB: Certo. Anche perché prima di andare lì avevo sentito Claudio Baglioni, l’avevo chiamato per capire, sapevo che aveva suonato lì e che aveva trovato delle difficoltà.
CF: E per quali motivi?
AB: Rimbombo. Tra l’altro c’è una cosa… Le sale dell’Auditorium hanno dei pannelli che si muovono, no? Servono ad indirizzare il suono e modificare riverbero e assorbimento della sala. Ma non mi risulta li abbiano mai mossi…
CF: Regolare l’impianto nella sala grande è ancora più difficile. Che tipo di lavoro avete fatto? Avete preso degli accorgimenti particolari proprio per quella serata? Di che tipo?
AB: Abbiamo preso un impianto specifico che aveva secondo noi delle prestazioni migliori su quel tipo di ambiente. A seconda del posto in cui andiamo, modifichiamo l’impianto che abbiamo. Portiamo con noi, nel camion, varie soluzioni. Se hai bisogno di più sub, se hai bisogno di più trombe, se l’impianto è sospeso… Dipende…
CF: Nel caso dell’Auditorium?
AB: In quel caso c’era un impianto metà a terra e metà sospeso, perché lì c’è anche la galleria. Avevamo montato anche i sub al contrario, metà a terra e metà sospesi in aria sopra l’impianto, in modo da differenziare la diffusione. Alla fine si sentiva abbastanza bene, da 6, la sufficienza, diciamo. Ma per arrivare alla sufficienza abbiamo speso, tecnicamente ed economicamente, tre volte l’impegno di un concerto normale. Quando invece sono stato al Teatro Augusteo di Napoli, forse il posto dove mi sono trovato meglio in tutta Italia, un posto con meno sfarzo, ho trovato un legno che non è di radica pura della “Papuasia orientale”, fatto di soli alberi vergini innaffiati solo con acqua piovana pura… Non c’è marmo, non c’è niente di particolarmente esoterico… Tutto è molto più normale… E a fronte di tanta “normalità”, il suono è splendido! Esce senza sforzo, naturale!
CF: Invece nell’Auditorium hai notato qualche anomalia nell’intorno di alcune specifiche frequenze?
AB: No. Devo dire che in quello sono stati bravi… il caos è su tutte le frequenze! A parte gli scherzi, il problema credo sia risolvibile, magari con quei pannelli che in teoria dovrebbero muoversi…
CF: Cosa pensi del soffitto testudinato?
AB: È una specie di volta inversa, diffondente. Crea una sorta di effetto cielo, che dovrebbe essere sempre l’ideale dentro uno studio, dentro un teatro, quando sopra non hai riflessioni… Le frequenze più fastidiose e meno costruttive sono, di solito, quelle che si muovono in verticale. Ma nella sala grande il soffitto non mi sembrava funzionasse in modo assorbente. Comunque, è bello!
CF: Ci risuoneresti?
AB: Sì, credo di sì… perché hai altri privilegi. Ad esempio, il Teatro Augusteo di Napoli di cui ho parlato prima è bellissimo. Però a Napoli per parcheggiare devi partire una settimana prima. Sembra una stupidaggine, però qui l’Auditorium è comodo, arrivi senza stress, trovi parcheggio. Ci sono i pro e i contro. Se ci fosse un’alternativa, sarebbe senz’altro meglio. Però a Roma non è facile trovare un’alternativa. Per esempio, trovare un posto per la macchina al Teatro Olimpico è una cosa impossibile… Devi lasciare la macchina allo stadio, prendere un taxi e farti mezz’ora a piedi! L’Auditorium è l’ennesima costruzione per la musica classica; ne abbiamo già qualcuna… Terme di Caracalla, il Teatro dell’Opera, Santa Cecilia a Via della Conciliazione, un altro auditorium a Via dei Greci al Conservatorio, più piccolino ma delizioso. Ci ho visto due anni fa Bennato con chitarra e orchestra. Comunque il problema dell’Auditorium è che è troppo riflettente. È difficile suonarci il rock. Dovrebbe andare meglio per il pop. Con tutto quel riverbero nel microfono rientrava di tutto… Non fischiava, però si sentiva un suono di chitarra con un riverberone tipo effetto “canyon”… Devo dire che poi, per fortuna, quando sei sul palco non è solo il suono che ti fa suonare bene, sono tante cose. Il pubblico e tante altre cose insieme. Però fatichi di più. Al concerto dell’Augusteo a Napoli non mi sembra neanche di aver suonato. Non ricordo nessuno sforzo. Le mie mani andavano da sole, la chitarra suonava da sola. Voce e chitarra erano tutt’uno. Non mi sono mai dovuto concentrare. Lo stesso ad un concerto di Milano, al Teatro Smeraldo.
CF: Per concludere, hai riscontrato più problemi sulla chitarra o sulla voce?
AB: Io parto sempre dalla chitarra, perché la voce è sopra la chitarra. La chitarra rappresenta più variabili sonore, ed è più complesso l’interfacciamento con l’ambiente.
a cura di Marco Valerio Masci
Impressioni d’ascolto della Matthäus Passion di Bach
La Matthäus Passion di Bach per soli, coro e orchestra, rappresentata nella sala Santa Cecilia dell’Auditorium romano lunedì 23 febbraio 2004, è stata fortemente penalizzata dall’acustica della sala. Almeno nelle ultime file della platea il suono arrivava ovattato, poco brillante. Il timbro degli strumenti antichi era flebile e confuso; in particolare, nelle clausole cadenzali dei recitativi secchi, la viola da gamba risultava difficilmente udibile, coperta com’era dal volume (peraltro non eccessivo) dell’organo, le cui frequenze erano svantaggiate in misura minore dalla risonanza dell’ambiente. Il cembalo, strumento “difficile” per una sala da 2700 posti, ha costituito, con ogni probabilità, il caso più eclatante: del suo timbro ricco di armonici non rimaneva altro che un ronzio indistinguibile.
Bravi i cantanti (Annette Dasch soprano, Monica Groop mezzosoprano, Marcus Ullmann tenore, Andreas Scheibner basso) e il coro di Santa Cecilia, il cui esito sonoro, ben amalgamato, avrebbe potuto essere maggiormente apprezzato se fosse risultato più ricco di frequenze medio-basse. Forse sarebbe opportuno che l’Accademia di Santa Cecilia tenesse in maggior conto le caratteristiche acustiche della sala al momento di far ricadere la scelta sui concerti da inserire nel cartellone; d’altra parte eventi di tale rilievo, per la bellezza dell’opera e per l’importanza assunta nello sviluppo della storia della musica, non dovrebbero mai essere assenti dai calendari, tutt’al più trovare una location più adeguata che ne esalti le caratteristiche proprie, ad esempio la sala Sinopoli o la “settecento”.
Flaminia Grütter
- La sorgente utilizzata nella simulazione è omnidirezionale (120 dB/Lin ad 1 m).
- La simulazione con Ramsete, relativamente alle medesime distanze (B1 – B2), fornisce una differenza di 1,9 dB.
- Hans Scharoun, Werner Weber, Sala per concerti dell’Orchestra Filarmonica di Berlino, Kenperplatz, Berlin – Tiergarten, 1963; – Russel Johnson, Royal Concert Hall, Nottingham, 1982; – Herman Erzberger, Muziekcentrum Vredemburg Utrecht, 1977.
- Elaborazione CAD di Roberto Ferabecoli.
- La suddivisione percettivo-qualitativa della risposta in frequenza in ambito ambientale risente della “grossolana” suddivisione per ottave. Pertanto gli intervalli in frequenza sono: 16-8 kHz (altissima), 8-1 kHz (alta), 1000-250 Hz (media), 250-125 Hz (bassa), 125-31.5 Hz (bassissima).
Riferimenti
[1] Leonetta Bentivoglio; Piano: l’Auditorium? Violino da accordare, La Repubblica, 29 marzo 2003
[2] AA.VV.; Auditorium, AR n. 45/03 (Ordine degli Architetti di Roma e Provincia)
[3] Italo Insolera, Alessandra M. Sette, Dall’Augusteo all’Auditorium, Collana dell’Auditorium
[4] Renzo Piano Building Workshop, Architettura & Musica, ed. Lybra Immagine
[5] Livio de Santoli, Marco Valerio Masci; Voci e silenzi nell’Auditorium di Roma, AR n. 51/04 (Ordine degli Architetti di Roma e Provincia)
[6] Marco Cicogna; La “Sinfonia dei Mille” al nuovo Auditorium di Roma, da AUDIOREVIEW, n. 235, maggio 2003.
[7] www.urbanistica.comune.roma.it/dipartimentoVI/auditorium/images/
[8] Dizionario dell’opera 2002, Piero Gelli, ed. Baldini & Castoldi
[9] John R. Pierce, La scienza del suono, Zanichelli Editore Bologna
[10] F. Alton Everest, Manuale di Acustica, ed. Hoepli
[11] Renato Spagnolo, Manuale di Acustica Applicata, ed. UTET
[12] Michael Forsyth, Edifici per la musica, ed. Zanichelli
[13] http://pcfarina.eng.unipr.it/
da AUDIOreview n. 253 gennaio 2005