
II CD-14 è l’ultimo della numerosa prole di giradischi digitali di “mamma” Marantz: va a collocarsi nelle posizioni di vertice della gamma e, a nostro parere, della categoria.
«Dio ce l’ha dato e guai a chi lo tocca!»
Non ci riferiamo, nient’affatto, ad un qualunque simbolismo del potere temporale del sovrano, noi oltretutto così refrattari ad ogni simpatia monarchica.
Piuttosto il pensiero corre ad un blasone icona dell’alta-fedeltà, alle sue creazioni, al suo attuale uomo immagine o meglio, giacché una tale definizione, oggi tanto di moda, ci sembra francamente riduttiva, rimandando col pensiero a prezzolati VIP, sorridenti «testimonial» d’eccezione dell’uno o dell’altro prodotto. No, Ken Ishiwata è prima di tutto uomo «pensiero», e solo consequenzialmente, e marginalmente, «immagine», peraltro alquanto sfuggente, dell’attuale, felicissimo corso Marantz.
Artefice, a nostro modo di vedere, di primaria importanza nella rinascita, dopo il buio pesto di passate e scellerate gestioni, ha contribuito a ricostruire pezzo dopo pezzo credibilità e popolarità di un marchio la cui progressiva eclissi dai quartieri alti dell’hi-fi non poteva che costituire motivo di rabbia e rammarico per tutti quanti ne hanno seguito ed amato le gesta. Ken, con la calma e la saggezza d’un maestro zen, cui peraltro riesce facile l’accostamento viste e considerate le origini, i tratti somatici, la misura e l’avvedutezza delle dichiarazioni, non disgiunte dalla grande esperienza e competenza tecnica, ha riassemblato quei calcinacci del mito con la pazienza e la tenacia del restauratore che s’industria dinanzi alla grande opera deturpata, con il rispetto dell’allievo che ritenga ancora insuperati, e del tutto attuali, alcuni dei capolavori – vedi le repliche del Model 9, del Model 8B e del Model 7 – del maestro – il vecchio Saul – e quindi meritevoli d’essere «divulgati» alle nuove generazioni che di quell’àge d’or posseggono solo sbiaditi rimandi della tradizione orale.
Vedete quanto sia facile, argomentando su Marantz, e su Ken Ishiwata, scivolare nel panegirico rimanendo intrappolati proprio in quanto volevamo ad ogni costo evitare. E una trappola che tuttavia funziona benissimo, un meccanismo perfetto come il più perfetto degli orologi svizzeri, che scatta puntualmente, propulso dalla stessa efficacia delle soluzioni adottate, irreprensibili a prescindere dal livello di collocazione economica su cui si posino le attenzioni e le cure degli sviluppatori Marantz. Eppure, specie nel caso di chi sta vergando queste note, lo spontaneo disincanto, coniugato ai molti e recenti incontri con apparecchiature del marchio che fu dell’indimenticabile Saul, dovrebbe smorzare il rinnovarsi della meraviglia e delle iperboli. Ogni volta ci ripromettiamo d’osservare un contegno più austero, un atteggiamento più pedante che in precedenza, e puntualmente dobbiamo smentirci dinanzi ai piccoli «miracoli» domestici, spesso anche a buono e buonissimo mercato, che Ishiwata ed i suoi si dimostrano capaci di reiterare con tanta assiduita.
Prendete, ovviamente non a caso, la nicchia dei giradischi digitali: forse è proprio da questa categoria merceologica che ha preso le mosse la riscossa d’un
marchio sull’orlo del dimenticatoio – chi ricorda il CD-94: forse il primo CDplayer «audiophile»? -: niente clamori, innovazioni dell’ultim’ora, orge di digital processing, potenze di calcolo da far sbiancare i più avanzati personal computer. Niente, nulla, sebbene quello del digitale sia il terreno più fertile per proclami ed esercitazioni tecnologiche, Marantz ed il suo alter ego Ishiwata continuano a progettare i loro gira-CD, dall’entry-level fino al top di gamma, col
fermo intento di addomesticare la colossale potenza della grande madre Philips al servizio del saggio, per certi versi magico, arrangiamento degli innumerevoli parametri che segna lo spartiacque tra le macchine nate per la funzione primaria della riproduzione musicale e quelle che concepiscono quest’ultima come necessaria conseguenza dell’esasperazione tecnologica.
Comunque la pensiate, a qualunque delle due opzioni concettuali vi sentiate più vicini, dovrete insieme a noi riconoscere che Marantz ha finora avuto la ragione dalla sua. Anche questo CD-14 da ragione, una volta di più, ai propri creatori. Appena un gradino sotto il vertice di gamma – costituito dal CD-23 -, un progetto realmente afflitto da ben pochi compromessi che, complice il pozzo di tecnologia ed esperienza del gigante di Eindhoven – che, ricordiamolo, il CD l’ha inventato (!), assieme all’altro colosso Sony -, potrebbe davvero far sfoggio di complicazioni degne dell’accademia della tecnologia numerica, ed invece pur attingendo profondamente al know how, ai più avanzati dispositivi on-chip, ai processi produttivi sviluppati e resi disponibili dalla casa madre, opta coerentemente per il fine modellamento di tali e tante risorse al prototipo mentale di «riproduzione» elaborato da Ishiwata ed i suoi.
Per questo nel CD-14, analogamente a quanto accade per gli altri giradischi digitali di casa Marantz, convivono «hi-tech» ed escamotage tipici della migliore scuola hi-end, e può accadere che il verdetto del laboratorio di misura, seppur d’assoluta eccellenza, non faccia gridare a quei primati che, con tutta probabilità, potrebbero esser facilmente conseguiti se una precisa e rigorosa scelta non subordinasse le ragioni della tecnica al concetto di bel suono sviluppato dai progettisti.
L’apparenza, la sola valutazione visiva, l’esame a scatola chiusa lasciano presagire tuttavia un gran dispiego di mezzi materiali, laddove il pesante cabinet in alluminio impeccabilmente satinato con ferisce al tutto, con la complicità del manto notturno e della non indifferente massa, l’apparenza e la virtuale sostanza della struttura monolitica. La distribuzione delle linee ricalca l’eleganza delle macchine di vertice Marantz delle ultime generazioni: con gli spigoli laterali morbidamente raccordati e la banda orizzontale lievemente convessa che percorre tutta la parte alta del frontale includendo il vassoio, il ricco display, e alcuni dei principali tasti funzionali, lasciando invece sulla parte bassa il solo interruttore di rete, il tasto di apertura/chiusura cassetto e quelli inerenti il salto di traccia.

Teìaio in pressofusione, laminatura integrale in rame, componentistica di pregio, layout curatissimo: nessuna raffinatezza ed escamotage sono stati trascurati da Ishiwata ed il suo team.
Il resto dell’abbondantissimo parco funzioni – tra cui la comoda attenuazione, a passi di un dB, del livello d’uscita – è accessibile esclusivamente dal telecomando: bello, affusolato, pesante, ricolmo di piccolissimi tasti, tanto chic e ricercato quanto poco comodo ed intuitivo nell’utilizzo veloce e magari in condizioni di scarsa illuminazione.
La successiva ispezione intima suggerisce esplicitamente ad un occhio attento come nel CD-14 si coaguli la sommatoria sinergica di rigori tecnologici ed intuizioni distillate da un paziente e raffinato rituale di perfezionamento empirico a cui Ishiwata sistematicamente ricorre nello sviluppo dei suoi progetti.
Ritroviamo dunque la classica laminatura in rame ottenuta per bagno galvanico, posta a salvaguardia dei nocivi effetti delle correnti parassite e come elemento migliorativo della funzione di massa elettrica del telaio.
Veri e propri minuscoli scudi in lamierino di rame – già visti in molte delle realizzazioni top di Marantz – bloccano addirittura le emissioni da e verso i dispositivi monolitici degli stadi di regolazione di tensione, peraltro numerosi ed indipendentemente dedicati alle sezioni più critiche del circuito, mentre un guscio in lamiera placcata protegge l’intero gruppo di lettura. Complessa e mirata alla massima inerzia rispetto ai fenomeni vibrazionali di natura sia endogena che esogena, la struttura composita del telaio, attuata attraverso un pianale portante in pressofusione con nervature di rinforzo, sul quale sono fissati il sub-telaio dedicato all’ancoraggio del gruppo optomeccanico, un collaudatissimo CDM 12.1; i trasformatori delle sezioni analogiche e digitali; l’elettronica di elaborazione e servizio; le paratie che, assemblate assieme, costituiscono la carrozzeria vera e propria.
L’ingegnerizzazione, estremamente spinta – esplicitamente esito dell’esperienza e del potenziale Philips – grazie al massiccio impiego di componentistica SMD, e di pochi ma eccellenti dispositivi tradizionali, riesce a confinare tutta la sezione di elaborazione digitale e analogica dei segnali, alimentazioni comprese, su un’unica mother-board concedendo al cablaggio solo pochi spezzoni di fiat-cable. Cuore pulsante del sistema, il chip-set di conversione formato dal filtro digitale TDA1307, che attua le funzioni di «oversampling», «noise-shaping» e riquantizzazione ad un bit del datastream in uscita, e da una coppia di DAC a capacità commutata TDA1547 connessi in configurazione «doppio-differenziale» per incrementare sia la risoluzione ai bassi livelli, sia il rapporto S/N.
La simmetria strutturale si estende incontaminata fino alle uscite analogiche bilanciate – ma è ovviamente disponibile anche una tradizionale coppia di connessioni «singleended» – attraverso una pariglia di buffer duali «HDAM»: gli ormai celeberrimi operazionali a discreti in tecnologia a «film-spesso» sviluppati da Marantz e caratterizzati da una dinamica, uno slew-rate, ed una distorsione migliori rispetto agli standard dei consueti omologhi monolitici.
Il vero e proprio attacco al CD-14 si consuma stavolta sotto il fuoco di un’«arma» definitiva, freschissima partenogenesi dell’arsenale redazionale, potente strumento d’indagine intima e raffinata messa a punto d’impianti lisci, vitaminizzati con subwoofer ed anche, ci vogliamo rovinare, di razza home-theater.
Concepito da AUDIOreview con l’apporto della preziosa esperienza Chesky Records, e tratto dalla versione originale creata dalla stessa etichetta «audiophile» assieme all’autorevole rivista americana «Stereo Review Magazine», il «Gold Stereo and Surround Sound Set-up Disc» s’impone di prepotenza come un must, tanto in qualità d’arnese del mestiere per il recensore di turno, quanto come sofisticato ma intuitivo congegno di verifica e messa a punto del sistema alla portata d’ogni appassionato.
Brevi e chiarissime parentesi esplicative in lingua autoctona del Belpaese s’alternano a segnali di test e tracce musicali significative per i singoli parametri da ottimizzare, attentamente selezionate dal catalogo Chesky senza peraltro dimenticare le rispettive carature artistiche, sempre d’ottimo livello. Insomma un «contenitore» ideale per testare e tastare le possibilità, potenzialmente enormi se commisurate alle premesse, d’una macchina del lignaggio e delle pretese di
questo Marantz.
Passate quindi in rassegna tutte le fasi di set-up con esiti a nostro modo di vedere d’assoluto rilievo – considerata l’oggettiva criticità di alcune di queste -, la riproduzione dei successivi «sample» musicali, tutti naturalmente connotati dalla grande qualità di ripresa della produzione Chesky, ha immediatamente evidenziato la superba omogeneità tonale del CD-14, capace di percorrere l’intera banda con agilità e sopraffina introspezione analitica.
Organo, percussioni, strumenti a corda, voci maschili e femminili, soliste o in coro, miscellanee semplici o complesse condite in salse dinamiche più o meno
piccanti, trovano medesima attenzione alla preservazione delle rispettive fisionomie armoniche, delle identità contestuali, in particolare per quanto attiene i caratteri d’ambienza, puntualmente estratti e riproposti con illuminante chiarezza espositiva e travolgente dovizia di dettaglio.
Del resto l’abituale conforto della selezione dell’opera locatelliana custodita dal nostro AUDIOrecords n. 5 avalla l’impressione destata da un così circostanziato acchito, offrendo un panorama d’inconsueto nitore sull’ensemble cameristico che, nella circostanza, si produce in un’esecuzione di ampio respiro, di solare evidenza, densa di riferimenti spa- ziali inerenti la posizione degli esecutori, ricolma di aromi lignei quando gli archi dispiegano tutto il loro tessuto timbrico che qui sembra impregnarsi delle sostanze essenziali e del calore intimo della materia prima.
Le voci dei membri del New York’s Ensemble for Early Music, nel «sempiterno» «Ludus Danielis» – AUDIOrecords n. 2 -, beneficiano in effetti della morbida ma rigorosa eleganza del giradischi Marantz coniugando al perfetto raccordo tra i differenti registri, alla irreprensibile intelligibilità fonetica, alla implacabile focalizzazione dell’immagine acustica dei solisti e dei cori, quella vellutata, finissima finitura dei timbri, capace di dispensare lunghi, piacevoli ed assolutamente rilassanti momenti d’ascolto. Il composito corollario dei piccoli strumenti a corda, a percussione ed a fiato, che in corteo aprono le vicende del «Daniele ed i leoni», sembra percorrere con pignolesca precisione, come su un binario, esattamente il tragitto emiciclico descritto dal circostanziato libretto a corredo del disco.
La sensazione di vastità ambientale, accentuata dal giusto decadimento del campo riverberato, enfatizza l’impatto scenico pur nel rispetto delle scale di mensionali e delle regole prospettiche, offrendo al sottile e raffinato pennello delle gamme media ed acuta un fondale pressoché ideale su cui tracciare figure plastiche in fluido movimento, simbolismi precisi dei quali l’ascoltatore acquisisce immediata cognizione.
Il gioco, si sa, diventa più facile con le piccole formazioni, come il trio standard che affianca il sassofonista Steve Grossman in «Love Is The Thing» – Red Records -, non dimeno la splendida affermazione di protagonismo dello strumento solista nella traccia d’attacco, la coltraniana «Naima», merita senz’altro una menzione per l’apoditticità scultorea del simulacro acustico, la veemenza espressiva, la disarmante facilità con la quale sotto la spinta di Grossman il sassofono tenore riesce ad esplorare l’intera gamma emissiva senza percettibili sfilacciamenti e contaminazioni del contenuto spettrale.
Il resto, la cornice, è comunque tutto da assaporare ove si abbia modo di apprezzarne la ricchezza di sfumature, la fine focalizzazione dei particolari, come avviene per i piatti del «drummer» Billy Higgins, au- tentica e riuscita sintesi di fremiti metallici, rutilanti vibrazioni, materia solida in sospensione cui
sembra far difetto il solo attributo dell’osservabilità ottica. E il desiderio di vedere, poter constatare la concretizzazione di un ricordo caro, rimpianto, immenso, come la figura di Marvin Gaye, si intensifica ulteriormente già dalle prime note di «Lets’Get It On», «title track» dell’album manifesto sull’amore, il sesso, il rapporto di coppia, inciso quasi un quarto di secolo orsono da Gaye per la Motown. Le voce di Marvin è proprio come vorremmo sempre ascoltarla: intensa, elegante, venata di una sensualità disincantata, è esattamente quel punto di riferimento universalmente riconosciuto da almeno un paio di generazioni di cantanti soul, e questa macchina sembra riuscirne a cogliere l’essenza intima.
È il più bel tributo che un oggetto da musica, da musica riprodotta, possa offrire alla ragione stessa della propria funzione. L’emozione del frangente lascia comprensibilmente in ombra le valutazioni del caso che, comunque, si attestano su standard d’eccezione, ove si consideri nello specifico la compattezza, l’omogeneità e lo smorzamento d’un basso che rende giustizia ad una ritmica di notevole impatto dinamico, e la trasparenza della gamma superiore, capace di
distillare sino all’ultima goccia il contributo strumentale, dalle chitarre fino al pianoforte. Venticinque anni di black music in pochi secondi, giusto quanto basta per caricare nel vassoio del gira-CD, il primo dei due dischetti di «Wu-Tang Forever» – Loud -, il secondo attesissimo album del Wu-Tang Clan, ovvero la posse più influente del rap contemporaneo.
Un oggetto straordinario per i cultori del genere: basi e campionamenti assolutamente inediti, atmosfere gotiche e squarci iperrealistici di quotidianità del ghetto urbano scanditi con micidiale verbosità. Il basso possente, limpido, rotondo, all’occorrenza fulmineo, del CD-14 non teme i martellanti loop ritmici che contrassegnano alcune delle molte tracce di questo lavoro, contribuendo, come in una sorta di rilettura «intelligente» piuttosto che pedissequa, a smorzarne la naturale invadenza a favore della caratterizzazione della metrica e delle peculiarità vocali dei tanti rapper – ben nove, più i molti ospiti – del Clan, sempre nettamente identificabili e più che mai incisivi nel profluvio di rime e slogan che letteralmente travolge l’ascoltatore.
Magnifico ed ennesimo esempio di eleganza progettuale ed efficacia dell’esito funzionale da parte del sempre più saldo sodalizio Marantz/Ishiwata, il CD-14, nonostante una quotazione in assoluto – purtroppo – non alla portata di tutti, si configura forse oggi come una delle scelte più consigliabili sotto il profilo del
rapporto qualità/prezzo in quanto vicinissimo alle vette prestazionali raggiungibili dal formato CD. Fare di più non sembra ad oggi oggettivamente semplice
senza inoltrarsi nei territori dei nuovi standard digitali.
di A. Casalini
Giradischi digitale Marantz CD-14
Prezzo: L. 4.700.000 (listino 9/97]
Distributore per l’Italia: Marantz Italiana – P.zza IV Novembre, 3 – 20124 Milano. Tel. 02/67521.
La catena di ascolto
Il Marantz CD-14 è stato provato in un impianto composto da:
- Preamplificatore: Lector MLA
- Amplificatore finale: Sonus Faber Amator Power
- Diffusori: Sonus Faber Electa Amator
- Cavi di segnale: Lector, Audioquest, Monster Cable
- Cavi di potenza: Monrio, Monitor PC
- Accessori: piedistalli Foundation, Q-Dampers ART
