Il suono che percepiamo nel nostro ambiente d’ascolto è stato generato e si è propagato all’interno di un ambiente chiuso e come tale è estremamente complesso, essendo costituito sia dalle onde che emesse dalle casse acustiche ci raggiungono direttamente, sia da quelle che prima di raggiungere la nostra postazione d’ascolto sono state riflesse e diffratte una o più volte dalle pareti e dagli oggetti presenti nel nostro ambiente.
Quando ascoltiamo il nostro impianto hi-fi il nostro sistema uditivo (del quale fa parte a pieno titolo anche il cervello, non dimentichiamolo mai) effettua in tempo reale su questo segnale una quantità di elaborazioni enorme.
Solo alla fine di tali elaborazioni, effettuate su tutte le onde che ci raggiungono ed interagiscono in vario modo, la sensazione raccolta dalle orecchie si traduce in una percezione cosciente.
Ecco perché molto spesso “sentiamo” la presenza anche di cose che non esistono affatto, come ad esempio la sorgente virtuale centrale che nasce quando i due canali del sistema stereo vengono alimentati con segnali identici.
Questa premessa per poter più facilmente prendere atto che il modo in cui il nostro ambiente domestico influisce sul suono generato dal nostro impianto hi-fi può rivestire una importanza percentualmente anche molto rilevante sulla qualità globale dei nostri personalissimi ascolti.
Andando ad esaminare i percorsi compiuti dalle onde acustiche emesse dagli altoparlanti per raggiungere le nostre orecchie, possiamo facilmente rilevare che quelle che percorrono il tragitto diretto (il più breve) arrivano sicuramente prima di quelle che, riflesse una o più volte da qualche superficie incontrata lungo il loro cammino, effettuano un viaggio più lungo.
Già questa semplice constatazione può render ragione di certi effetti psicoacustici che nascono in ambienti troppo riflettenti nei quali, oltre ad ascoltare le nostre casse, ascoltiamo anche una loro immagine riflessa dalle pareti.
I segnali ritardati dal cammino più lungo possono causare contemporaneamente almeno un paio di sensazioni di cui una particolarmente negativa e l’altra che con certe registrazioni può essere invece anche piacevole, ma anch’essa certamente poco hi-fi:
- la prima consiste in una vera e propria perdita di fuoco dell’immagine acustica virtuale ricreata dal sistema stereo, che si accompagna ad una importante confusione fra gli spettri dei segnali dei vari componenti del gruppo musicale che stiamo ascoltando;
- la seconda è un allargamento distorto dell’immagine e della sua prospettiva orizzontale che, ad esempio, con una registrazione di un grande organo in una cattedrale genera una sensazione di maggiore immanenza che a volte può risultare addirittura gradita.
In numeri:
- se il suono riflesso (magari più volte da superfici diverse) perviene all’ascoltatore dopo più di 0,1 secondi verranno percepiti due suoni distinti;
- se il suono riflesso perviene all’ascoltatore dopo meno di 0,1 ma più di 0,05 secondi verrà percepito un unico suono prolungato;
- se il suono riflesso perviene all’ascoltatore dopo meno di 0,05 secondi verrà percepito un unico suono rafforzato.
È bene prendere atto che, oltre agli effetti per lo più negativi di quelle che vengono definite “prime riflessioni” (che non sussistono solo in relazione alle pareti laterali ma anche al soffitto e al pavimento), noi conviviamo anche con quelli causati dalle numerose altre riflessioni successive che le onde emesse dalle casse subiscono prima di raggiungerci pervenendo da tutte le direzioni.
L’insieme di tutte le riflessioni del suono sulle superfici dell’ambiente, dopo un certo tempo da quando hanno iniziato il loro cammino, va a costituire quello che viene definito “campo acustico riverberato”.

Figura 1 – Alcuni possibili cammini di diverse onde acustiche che siano emesse dalla sorgente S e, pur subendo diverse riflessioni, pervengano poi tutte nel punto P dove si trovano le nostre orecchie.
Tale campo acustico, quando continuamente alimentato dall’emissione delle casse, è in grado di mantenere nell’ambiente una distribuzione delle pressioni acustiche che si somma a quella del “campo acustico diretto” costituito dalle pressioni associate alle onde emesse direttamente verso le nostre orecchie.
L’esperienza insegna che, per poter fruire di un ascolto musicale naturale e gradevole, i due contributi del campo riverberato e del campo diretto devono avere proporzioni che rientrino in un preciso intervallo, dipendente sia dal tipo di musica che si ascolta che dalle dimensioni dell’ambiente e dalla distanza d’ascolto.
In pratica, tenendo conto che il dato più significativo del campo riverberato è il suo tempo di crescita e di decadimento, che prende il nome di “tempo di riverbero medio”, per poter ascoltare bene in condizioni naturali e “dal vivo” gli esperti delle varie configurazioni hanno stabilito che i tempi di riverbero ottimali per varie situazioni ed ambienti d’ascolto possano essere indicativamente i seguenti:
Per lezioni e conferenze: fra 0,5 e 1,0 s;
Per musica da camera e lirica: fra 1,0 e 1,8 s;
Per musica sinfonica: fra 1,8 e 2,2 s;
Per concerti d’organo e canti liturgici: più di 3 s.
Naturalmente le esigenze di un ambiente preposto alla riproduzione di musica registrata sono molto diverse da quelle degli ambienti nei quali l’emissione delle onde acustiche e il loro ascolto avvengano dal vivo.
La ragione è molto semplice.
Nel caso di un gruppo da camera, ad esempio un quartetto d’archi composto da due violini, una viola e un violoncello, questo verrà molto probabilmente registrato con una opportuna configurazione microfonica che riprenderà sia le onde dirette che quelle relative al campo riverberato dell’ambiente nel quale i musicisti stanno suonando, ovvero caratterizzato da un riverbero non inferiore ad 1 secondo.
Ecco quindi che per riprodurre quella registrazione in modo che il riverbero totale non superi quello necessario per percepire un suono dalle caratteristiche più gradevoli e naturali possibile, il nostro ambiente dovrà avere un tempo di riverbero massimo di 0,8 s.
Il campo riverberato in un normale ambiente domestico ha peraltro valori di solito variabili mediamente fra gli 0,5 s (molto assorbente) ed 1,0 s (poco assorbente) e quindi perfettamente adatto allo scopo, ma anche caratteristiche ampiamente variabili da una posizione all’altra. Ovvero quegli 0,5 ed 1,0 s possono essere rilevati e misurati solo in alcune posizioni, che non è affatto sicuro corrispondano al nostro divano di ascolto, mentre in altre posizioni il tempo di riverbero potrà assumere valori anche molto differenti.
Ecco allora venire in nostro ausilio il fenomeno acustico che dà il nome a questo articolo, cioè la “diffusione”.
A questo punto sarà utile chiarire che quelli che chiamiamo diffusori acustici (cioè i nostri sistemi di altoparlanti) con la diffusione di cui stiamo parlando non hanno nulla a che vedere.
In effetti il verbo diffondere in acustica può riferirsi ad almeno due fenomeni diversi:
A) La emissione del suono su un’opportuna area che è o sarà occupata da chi quel suono potrà percepirlo.
B) Riflettere e diffrangere (in linguaggio comune “spezzare”) le onde acustiche incidenti, per farne proseguire il cammino lungo molti percorsi diversi.
Il fenomeno di cui ci stiamo occupando è il secondo (B).
Quando un ambiente riesce a far coinvolgere dalla diffusione tutte le onde acustiche che in quell’ambiente vengano emesse (e il campo riverberato sarà giunto a regime), si saranno contemporaneamente raggiunte anche le condizioni (mai verificate esattamente in pratica) che gli esperti chiamano di “campo riverberato perfettamente diffuso”.
In queste condizioni un ascoltatore che si spostasse all’interno dell’ambiente nel quale stiano funzionando i suoi altoparlanti percepirebbe un suono composto da un campo diretto variabile in relazione alle modalità di emissione del suono da parte degli altoparlanti stessi (ovvero dipendente dalle loro caratteristiche direzionali) e da un campo riverberato che si manterrebbe costante ovunque.
Per visualizzare tale condizione si può fare riferimento al grafico di Figura 2, che evidenzia come allontanandosi dalla sorgente (nel nostro caso l’altoparlante) il campo globale composto dalla pressione del campo diretto (la linea obliqua contraddistinta dalla scritta “suono diretto”, che decresce al ritmo di un dimezzamento (-6 dB) per ogni raddoppio della distanza dalla sorgente) più quella costante (orizzontale) del campo riverberato.

Figura 2 – Andamento della pressione acustica globale in un ambiente chiuso al variare della distanza dalla sorgente, per diversi valori della costante di ambiente R=(AM*S)/(1-AM).
La linea risultante, che rappresenta l’andamento con la distanza dalla sorgente del campo globale e decresce prima con un andamento curvo per poi proseguire in orizzontale, a parità di campo diretto segue andamenti differenti dipendenti dall’intensità del campo riverberato.
Dato che la costante d’ambiente R che compare in questo grafico con valori compresi fra 5 e 1.000 vale
R=(AM*S)/(1-AM)
con AM coefficiente di assorbimento medio e S superficie interna totale dell’ambiente considerato, si vede facilmente che la pressione cui tende il campo acustico globale allontanandosi dalla sorgente, a parità di coefficiente di assorbimento AM, ha un livello tanto maggiore quanto più piccola è la superficie interna totale S dell’ambiente considerato.
La considerazione conclusiva grazie alla quale possiamo trarre indicazioni utili all’ottenimento del miglior ascolto possibile nei nostri ambienti è che, ove volessimo ridurre gli effetti negativi delle prime riflessioni senza ridurre troppo un tempo di riverbero già vicino a quello ottimale, oltre a fare affidamento su pochi elementi assorbenti potremo utilizzare anche numerosi elementi diffondenti.
Questa è una opportunità che chi si occupa di ottimizzazione della qualità d’ascolto negli ambienti chiusi (a maggior ragione se si tratta di auditorium) conosce bene e sfrutta sempre a dovere.
Infatti, quando si tenti di eliminare o quantomeno ridurre le code sonore e la “confusione” causate dalle riflessioni facendo appello esclusivamente sull’assorbimento, l’ascolto rischierebbe di diventare altamente innaturale a causa della grande differenza fra il valore del campo diretto (in questa condizione eccessivamente dominante) e quello del campo riverberato.
Quando invece si agisca utilizzando anche la diffusione, le riflessioni delle onde acustiche sulle pareti diminuiranno di intensità ed importanza come desiderato, ma il valore del campo riverberato non scenderà troppo.
E come si fa ad aumentare la diffusione su tutto lo spettro audio, o quantomeno sulla parte media più importante?
In primo luogo disponendo nell’ambiente una adeguata quantità di oggetti di arredamento di dimensioni diverse e tali da poter interagire “spezzandole” con il maggior numero possibile di onde incidenti (le onde interagiscono con gli oggetti quando questi hanno dimensioni comparabili con la metà della lunghezza dell’onda acustica incidente. A 1.000 Hz, 17,2 cm).
Ove ciò non bastasse è sempre possibile aggiungere elementi diffondenti progettati e costruiti ad hoc, dei quali esistono numerose varianti, due esempi delle quali potete vedere nelle Figure 3 e 4.

Figura 3 – Diffusore di Schroeder.

Figura 4 – Diffusore a resto quadratico.
Renato Giussani
da AUDIOreview n. 339 dicembre 2012/gennaio 2013