La luce dell’emozione

Come forse sapranno coloro che, inspiegabilmente, leggono le mie deliranti recensioni audio, il sottoscritto non è autosufficiente in materia informatica. E anche in molte altre cose, se è per quello, ma qui ci occupiamo di audio e quindi posso circoscrivere, si fa per dire, le mie difficoltà al mondo dell’audio digitale. Ho provato, in tempi ancora pionieristici, a dotarmi di un sistema atto all’ascolto di musica liquida, ho tentato, credetemi. Il risultato è stato quello di frullare, letteralmente, dalla finestra, i più vari, improbabili, ammennicoli messi insieme recitando rosari in aramaico del primo secolo. Non fa per me. Soltanto Giulio Salvioni è riuscito a mettermi nelle condizioni di avere un sistema casalingo di fruizione di musica liquida che veramente funziona.

Però, ognuno ha la sua natura, io preferirò sempre sistemi chiusi, perché di sperimentare con l’informatica non mi è concesso date le mie ridotte capacità cognitive. E neanche mi interessa in alcun modo. Per cui quando posso richiedo in prova streamer per i quali tutto ciò che devi fare è inserire la password del tuo abbonamento ai vari provider di musica liquida (e anche qui spesso mi deve aiutare qualcuno).

Quindi il prodotto per me è lo streamer/dac o, al massimo, uno streamer che sia solo tale e un dac stand alone, cioè separato, così posso fare prove di convertitori senza impazzire troppo. Ecco, quindi, quando ho incrociato lo streamer Linn Klimax DSM, mi sono sentito tranquillizzato. E irretito già dalle foto. Era chiaro che si trattava di un prodotto che sembrava fatto apposta per me. Innanzitutto, il display. Ma avete visto che display ha quest’apparecchio? Voglio dire, avete visto quant’è grosso?
E, soprattutto, quanto si legge bene da tre metri di distanza?
(Posso, per una volta, evitarvi sermoni insopportabili sul fatto che la popolazione audiofila invecchia e ci vede sempre meno, per tacere del fatto che io ci vedevo poco anche da giovane, e che molte aziende audio non se ne curano producendo apparecchi con display che possono andar bene solo per chi ha una vista perfetta). E poi, avete visto che eleganza?

L’enorme display mostra solo indicazioni alfanumeriche e qualche elemento grafico ben visibile.


Riproduce solo il nome dell’autore e il titolo del brano.
Basta con le cover dei dischi dalle dimensioni di un francobollo che mi portano ad odiare visceralmente chiunque le possa leggere da lontano. È chiaro come un sistema audio non si possa scegliere per la sua livrea estetica e per le soluzioni di interfaccia con l’utente, perché qui ci occupiamo di roba che deve suonare alla grande, sennò non si entra. Quando l’ho avuto fra le mie enormi mani, recapitato dai ragazzi di Key System che sono venuti ad installarlo di persona (ma, e qui risiede un primo motivo di interesse personale, anche io avrei potuto installare questa macchina scozzese, pensate quindi quanto sia elementare – per non dire a prova di idiota – la sua configurazione), ne ho apprezzato veramente molto la finitura, la realizzazione oserei dire perfetta, la riuscita sintesi estetica delle sue parti. Quello che però mi ha fatto sobbalzare sul mio pidocchioso divano è stata, ovviamente, la sua voce. Il nuovo nato di Linn è stato collegato al pre e finale Naim NAC552 e NAP250DR utilizzando come diffusori i sempre meravigliosi ProAc Response Three nella mia sala trattata con diciotto Daad e un Volcano da parte di Acustica Applicata, utilizzando cavo Naim NAC A5 per la potenza, Kimber Kable per le alimentazioni e di nuovo Naim per il segnale fra pre e finale.

Lo streamer Linn è stato collegato alle prese rca del pre Naim attraverso un cavo in argento Linn, fornito insieme al Klimax DSM, di cui però non so ancora nulla.

Sostanzialmente quindi un impianto tutto britannico, che rinverdisce fra l’altro anche la collaborazione Naim-Linn di alcuni decenni fa. Il Linn Klimax DSM è una macchina dal suono raffinatissimo, talmente tanto da dimostrare come il suono digitale di più alto livello in realtà possa risultare all’ascolto terribilmente coeso, continuo, compatto, fisicamente presente. Cioè quello che si è sempre creduto fosse appannaggio esclusivo del disco in vinile… anche se, mi pare di poter dire, Linn non è andata nella direzione del voler garantire un’esperienza basata sulla mimesi del solco vinilico ma ha voluto celebrare l’avvenuta, raggiunta, grandezza del digitale di altissimo livello qualitativo. Su tutto splende la sua luce.

Il Klimax DSM illumina l’ambiente, tutto l’ambiente, con quantità industriali di aria eccitata da particole musicali di dimensioni infinitamente piccole, eppure tangibili, tanta è la sensazione di presenza fisica delle varie componenti sonore. Quindi, levigatezza estrema, compattezza e densità intensissime, proprio come la realtà mi verrebbe da dire. Ma tutto ciò, cioè questa preminente sensazione di verità applicata all’audio, non sarebbe così intensa se non fosse veicolata da una timbrica che oserei definire perfettamente naturale. Il Linn riesce a rendere una prestazione globale che è limpidissima, luminosa (l’ho già detto?), dettagliatissima e dotata di spinta & tiro francamente sorprendenti. Così come ho trovato non comune fra le macchine digitali pur di alta classe il basso che il Klimax DSM si permette di sfoggiare. Più che sorprendere dal punto di vista della profondità, è certamente molto profondo soltanto che non è sottolineato, desta sensazione per il controllo e la ricchezza armonica.

Ciò è forse la parte più analogica di questa macchina che di per sé, come detto, non instaura una lotta con giradischi di pari lignaggio dal punto di vista sonico. No, è un’elettronica che prende il meglio di quanto abbia da offrire l’ambito digitale della riproduzione musicale (silenzio, dinamica, definizione, ecc.) e lo porta a quelle vette che abbiamo aspettato di poter ascoltare per decenni. Mi sono consumato la schiena e le orecchie (che però sono ancora perfettamente funzionanti, fra le poche cose su cui ho potuto sempre contare, forse per via della notoria scarsa acutezza visiva?) a furia di provare sorgenti digitali che riuscissero a travolgermi. Ce ne è stata più d’una recentemente (in passato ci riuscirono perfettamente il Linn Sondek CD12 e il Naim CD555, peraltro entrambe ancora attualissime, sebbene per taluni critici la lettura del compact disc sia ormai dichiarata di un qualche interesse solo per sparute minoranze), su tutte il convertitore in tre telai MSB Select II che però costa sei volte più di questo Linn e che spaventa per la silenziosità straordinaria di cui è capace e per il nero di fondo semplicemente inaudito a tutt’oggi, pareggiando, però, mi azzardo a dire, l’aspetto timbrico e dinamico e il quattro telai dCS Vivaldi di cui attendo la nuova versione Apex. Tutto il resto, di quanto da me ascoltato s’intende, pur essendo comunque approdato, complice la più alta densità dei file riproducibili, a livelli che ci sognavamo soltanto cinque o sei anni fa, lo debbo porre su un livello comunque elevato ma, udibilmente, un paio di gradini sotto questo streamer scozzese delle meraviglie. Il Linn si staglia nella mia sala per quelle caratteristiche (che in brevissimo tempo diventano irrinunciabili), ovvero la densità armonica, la chiarezza gentile ma capace di descrivere il palcoscenico virtuale al punto da rendere tutto incredibilmente facile da apprezzare e cogliere immediatamente, per il controllo operato su tutto lo spettro al punto da rendere il mio Naim DAC pilotato dallo streamer Moon Mind 2 sfocato, incolore, confuso e, per la miseria, perfino stancante. Ecco, il Klimax DSM, una volta che l’hai avuto a lungo, rende quasi inascoltabile qualsiasi elettronica digitale che non sia al suo livello.

Particolare del controllo di volume/joystick multifunzione e dei pulsanti programmabili.

Quando lo rimandi indietro, a prova finita, per fortuna il cervello compensa. Mi ci sono voluti venti giorni di disintossicazione al contrario per riuscire ad ascoltare qualcosa che non fosse un disco in vinile.
Questa è una indiretta dimostrazione per coloro che, e davvero non so come possano, affermano che le elettroniche digitali, in fin dei conti, sono tutte uguali e non occorre spendere cifre notevoli per godersi la musica. Mentre sposo in toto la seconda affermazione (ma la devo correggere se si sta trattando, come in questo caso, del vertice mondiale offerto oggi dalla tecnologia in merito all’ascolto di più alta qualità possibile in ambito audio domestico), per quanto attiene la presunta somiglianza fra elettroniche digitali, beh, solo una ben ridotta dimestichezza con gli ascolti critici potrebbe suffragare simili teorie. Vorrei tanto che fosse come dicono loro però, perché del Klimax DSM mi resterà un buco nel cuore grosso così.
Viva la Musica.
Andrea Della Sala