ProAc Studio 200

Le slanciate ProAc Studio 200

Le slanciate ProAc Studio 200

La vita dell’audiofilo, se ci pensate un momento, è un vero inferno, trascorsa in continua ed esasperante attesa.

Attendere è la parola giusta. L’audiofilo attende il momento di potersi finalmente comperare l’oggetto dei suoi sogni. L’audiofilo attende che il costruttore finalmente metta in catalogo l’ultima versione dell’oggetto dei suoi sogni. L’audiofilo attende che l’importatore si decida a distribuire l’oggetto dei suoi sogni. L’audiofilo attende che il negoziante riceva l’oggetto dei suoi sogni, per il quale ha già naturalmente lasciato l’anticipo. E quando tutto sembra finito, l’audiofilo deve attendere il break in, il momento in cui l’oggetto dei suoi sogni ha raggiunto il punto in cui da il meglio di sé. Un’attesa, quest’ultima, che può durare una settimana, forse due, qualche volta tre, magari anche quattro. Ma se gli dite che dovrà attendere due mesi di funzionamento intenso prima che il break in o il bum out sia completato, assieme al manuale d’uso dategli una lametta affilata che si possa tagliare le vene senza attendere che apra il tabaccaio sotto casa.

Due mesi? Ma ve lo immaginate se un poveraccio «prima di un ascolto serio» deve aspettare due mesi? E poi due mesi come? Quante ore al giorno? Due? E allora sei giorni di musica continua non sono lo stesso?
Ditecelo, finalmente, che non ci capite un niente neppure voi e scrivete bum in e break out per darvi delle arie e per poter sempre dire, casomai qualcuno si lamentasse, che il bum in non è stato fatto bene o il break out point non è stato raggiunto.

E se poi scrivete di attendere alcune ore (quante? una? dieci? ditecelo!!!) ad una temperatura di circa 60° Fahrenheit per la prima connessione, metteteci almeno una tabella di conversione delle temperature. Quanti saranno 60° Fahrenheit? Telefona a Giorgio che è stato in Inghilterra per Capodanno. Magari lo sa. O alla zia Mima, che si raffreddava i bollori con il maggiordomo inglese dei Mazzanti. Forse prima di spegnerli li misurava in Fahrenheit.

Insomma, smettiamola una volta per tutte. Dateci della roba che uno attacca, aspetta magari due ore giusto per buona creanza e poi ci da dentro. Così, permettetemi di considerare come puramente accademico l’invito fatto in modo alquanto perentorio nel libriccino che accompagna i ProAc Studio 200 di attendere un paio di mesi prima di fare una «ascolto serio». Anche perché, davvero, se questi ProAc me li fossi comperati, avessi sborsato i sei milioncini che costano, con quale animo potete pretendere che attenda ancora due mesi? Perché, certo, sono carini da vedere questi due diffusori da pavimento, piccole colonne squadrate, eleganti nella loro finitura di un bel noce scuro, sono piacevoli a toccarsi, lisci come sono. Ma se non posso rilassarmi davanti a loro che gusto c’è?

Anche perché suonano proprio benino, pulito, senza quelle rugosità di altri diffusori inglesi, anzi con qualche nota bella tonda come ci piace a noi mediterranei che siamo romantici, caldi e mammoni. Questi Studio 200 pur nella loro relativa compattezza, pesano una quarantina di chili ciascuno e presentano la classica architettura ProAc con il tweeter fuori asserispetto ai woofer. Gli Studio 200 ne montano due da 7 pollici, oltre al tweeter da un pollice in metallo. L’impedenza di 8 ohm e una sensibilità di 90 dB li rendono facilmente pilotabili anche da elettroniche con non grandissime capacità di erogare corrente. Piuttosto tipica la frequenza di
incrocio, sui 2500 hertz.

Insomma gli Studio 200 si presentano come oggetti per nulla intrusivi, anzi piuttosto facilmente inseribili in un contesto domestico con un WAF (Wife Acceptance Factor, o più prosaicamente ritardo medio prima che vostra moglie vi mandi, e dunque traducibile anche come ‘VAFF) di medio livello, in impianti non particolarmente critici. Unica precauzione da rispettare – ma questo vale per tutti i diffusori – una adeguata distanza dalle pareti. Evitate di metterli vicino rientranze o nicchie che alterano significativamente le prestazioni dei diffusori, di qualsiasi diffusore. E infine metteteci le punte, che con questi Studio 200 sono essenziali per tirarne  fuori l’anima. Semplicemente appoggiati al pavimento, anche con la piccola pedana fornita di serie, sono convincenti, ma non stupiscono. Appena ci mettete gli spike entrate in un mondo diverso, infinitamente più ricco e denso di emozioni.

Me ne sono accorto durante la prova. Un po’ per pigrizia, un po’ perché noi poveri recensori cadiamo spesso negli errori che raccomandiamo tanto agli altri di non fare, all’inizio avevo provato questi ProAc senza punte. Carini, ma nulla più. Poi mi è venuto lo scrupolo di verificare e, con immane fatica, ho messo gli spike. A quel punto ho ricominciato gli ascolti perché ne valeva davvero la pena.

Per la prova ho utilizzato come sorgenti la meccanica Audio Research CDT-1 collegata al convertitore Sonic Frontiers SFD-2, pre e finale Luxman della serie Ultimate Fidelity (ne trovate la recensione in questo AUDIOclub). Cavi di segnale ART e di potenza Kimber Kable. Tavolini di BCD by GM. Quello che mi ha colpito di più è il suono «pulito», terso, asciutto delle Studio 200. Una sonorità priva di rigonfiamenti, una gamma ben articolata e senza buchi avvertibili, un tono caldo senza essere caricato o colorato inutilmente. Per ottenere il giusto equilibrio e la prestazione più soddisfacente bisogna tuttavia giocare un po’ al momento del  posizionamento. Questi ProAc, forse a causa della posizione eccentrica dei tweeter rispetto all’asse dei woofer, sono alquanto critici da collocare nell’ambiente, ma il risultato finale vale largamente l’energia spesa nel
posizionamento. Ne ricaverete un suono allo stesso tempo pieno e cristallino, che non dispiace neppure ad un vecchio ed ostinato elettrostaticista come il vostro sottoscritto recensore.

Mettete ad esempio Mike Melillo, «Moonlight on the Gange» (Red Records 123264-2), il take two che trovate alla traccia 8. Concentratevi sul contrabbasso che conduce tutta la prima parte, appena sottolineato dalla batteria e da un discretissimo piano. Non vi dirò che si vedono le dita giocare sulle corde. Sarebbe banale. Ma non posso non segnalarvi come le note prodotte da queste corde così vive, così presenti siano riuscite a tradursi in autentica emozione, un vero lungo, lunghissimo brivido che si è liberato quando piano e batteria hanno rioccupato con decisione lo spazio. Buono il basso, ma straordinariamente efficaci soprattutto i medi, che poi sono il vero punto di riferimento di qualsiasi ascolto. Ed eccellente la capacità complessiva di controllo, che rende così pulite, essenziali, senza code indesiderate le note del contrabbasso, ma anche perfettamente scolpite quelle del pianoforte di Melillo.

Due parole le devo anche a Sergio Veschi, alias Mr. Red Records, che mi ha «costretto» con un torrente di parole e una montagna di CD a soffermarmi sulla sua produzione che conoscevo superficialmente e alla quale appartiene anche questo CD di Mike Melillo. Chi mi legge sa che non sono un grande jazzomane. I miei gusti sono più per il classico. Ma non perché non mi piaccia il jazz. Anzi. Il fatto è che c’è poca roba in disco che valga veramente la pena di sentire. C’è una quantità tale di registrazioni inaccettabili che mi avvicino sempre con una certa riluttanza alle etichette jazz. Per fortuna ci sono in giro preziose eccezioni. I ProAc lavorano bene su tutta la gamma, rifiniscono bene gli alti, ma non trascurano i bassi, piuttosto ricchi e vorrei dire eleganti, come si può verificare nelle costruzioni più complesse, come ad esempio quelle che prevedono l’interazione della massa orchestrale, del coro e dei solisti. Il «Requiem» di Mozart in questo senso è un ottimo test. Prendete ad esempio l’edizione diretta nel 1989 da Leonard Bernstein con il coro e l’orchestra
della Bayerischen Rundfunk (DG 427 353-2), un’esecuzione di straordinario coinvolgimento emotivo. Bernstein lo diresse in memoria della moglie, e questa personalissima partecipazione si trasforma in una
sorta di intima solennità, molto poco bernsteiniana, ma che certo ritaglia perfettamente questa musica e la ricolloca nella sua prospettiva dolente e misericordiosa, togliendole per una volta quel tanto di patina da best seller che sembra aver contagiato molti esecutori.

Le Studio 200 sono ovinamente predisposte per il bi-wiring.

Le Studio 200 sono ovinamente
predisposte per il bi-wiring.

L’Introitus sale e si allarga come quelle nebbioline a mezz’aria che occupano la campagna al primo sole. Un arrivare che con le Studio 200 non resta soltanto sensazione complessiva, ma si dipana nelle sue articolazioni, si presenta con una prospettiva saldamente descritta nello spazio, fino alle ultime file del coro, e poi ritorna all’orchestra quando la musica ridiventa prevalente. Questa musica è anche un ottimo test rispetto alle qualità del diffusore in termini di ricostruzione della scena sonora, che effettivamente si presenta ricca e capace di andare oltre gli angusti limiti fisici della stanza. Forse qua e là ho avvertito qualche imprecisione, invece, nel posizionamento in profondità. Non escludo che sia dovuto ad un problema di interazione con la stanza, risolvibile forse con una più attenta collocazione.

Ottima anche la restituzione della voce, uno dei test più difficili per qualsiasi diffusore. Lo sappiamo tutti che la voce sola, soprattutto se è voce recitante, è un promontorio arduo da superare a vele spiegate. Direi che questi ProAc si dimostrano grandi navigatori. Se volete verificarlo prendete un disco ormai non più recentissimo di Fabrizio De Andre, «Le nuvole» (Ricordi/Fonit CDL 260). Il primo brano, che da anche il titolo al CD, è un duetto tra due donne, una giovane e una vecchia, che parlano delle nuvole, tutto l’immaginario che ci sta dietro e tutto quello di tangibile che sta nella loro memoria. Si tratta di due voci molto belle e ricche di inflessioni. Nei ProAc trovano degli interpreti trasparenti ma non freddi. Anzi, pur senza aggiungere alcunché in calore e colore, le ricostruiscono con una ricchezza di dettagli ed una naturalezza che non hanno bisogno di ulteriori aggettivi.

Come dire: se cercavate un diffusore di medio prezzo, medio ingombro, ma grande qualità, l’avete trovato.
di Toni De Marchi


Sistema di altoparlanti Proac Studio 200
Distributore per l’Italia: Audio Reference – Via
Abamonti, 4 – 201 29 Milano.
Prezzo: L. 5.590.000 (la coppia), (listino 9/94).

da AUDIOreview n. 145 gennaio 1995

Author: Redazione

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2 Comments

  1. Grazie, grazie di cuore, ho trovato questi fantastici diffusori appena riconati ,adesso dopo un mese di rodaggio cominciano a suonare come si deve. Ultimamente avevo abbandonato il marchio, dopo Studio 1 e Studio 125 volevo provare qualcos’altro, ma Proachiano ero sono rimasto! Ora sono riuscito a trovare questi ,secondo me fra i più musicali in assoluto, sono nel mio salotto e penso ci resteranno a lungo. Saluti, Mauro.

  2. Ciao, dopo alcuni mesi di rodaggio e con i cavi giusti , adesso suonano divinamente !!! Non li cambierò mai più ! Io le ProAc le ricordavo un po aggressive , non avevo mai investito in amplificazione ,ora con pre e finale Naim ,sono dolci, raffinate e con quel dettaglio che non trovo in nessun altro diffusore! Nemmeno quelli da oltre 10.000 € !!! Queste Studio 200 sono di gran lunga le migliori che ho avuto o anche provato !! Ancora grazie ad Audio Rewiew ! Mauro.

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