La teoria e la pratica delle reti crossover

Ed eccoci finalmente a parlare dell’argomento certamente più controverso e discusso da tutti gli autocostruttori.
Le finalità di questa che sarà una lunga serie di articoli è quella di avvicinare gli appassionati allo studio ragionato delle reti di filtro crossover. Badate bene però che a differenza dei papiri lunghissimi che si possono trovare in giro e soprattutto sulla rete questa serie di scritti salterà a piè pari tutto il nozionismo inutile delle reti elettriche terminate su altoparlanti ideali, quelli tanto per intenderci che non esistono. Ovviamente li useremo come esempio e come punto di arrivo, di “orientamento”, ma niente di più. Insomma, la mia intenzione è quella di mettervi in condizione di “risolvere il problema” mentre si presenta, senza parlarvi di reti del diciottesimo ordine su carico resistivo che non servono a niente. Conoscere tutto delle reti crossover senza saperle realizzare, senza avere un metodo di lavoro, è inutile.

Le premesse, quel poco che serve e quello che non serve

La progettazione di un adeguato filtro crossover per realizzare un diffusore acustico implica diverse conoscenze non strettamente correlate alle sole reti elettriche. Il perché è presto detto: la rete di filtro non costituisce un sistema a sé ma si inserisce nel contesto più generale ed allargato del progetto del diffusore. Vale comunque e sempre l’utilizzo di una massiccia dose di buon senso che prima di qualunque altra legge governa e regola i nostri progetti. Non servono le specifiche inutili, le esagerazioni localizzate a qualche aspetto particolare e la teoria del sentito dire, che fa più danni di quanti cerca di risolverne.

Non serve nemmeno una conoscenza approfondita della matematica, visto che dei calcoli complessi si occupa il simulatore. Non riusciremo ovviamente a rispondere a teorie varie sui massimi sistemi e non ne ho né voglia né possibilità, così come sono sicuro che dal nostro studio non uscirà mai una risposta definitiva, una configurazione migliore delle altre e/o delle soluzioni circuitali inedite. Personalmente ritengo che tutto quello che in qualche modo è stato innovativo negli ultimi trenta anni di progetti e reti elettriche abbia definito più o meno tutto quanto sia possibile realizzare con i filtri passivi. Le varianti, i trucchi o le configurazioni rappresentano soltanto l’applicazione della teoria delle reti, magari in modo apparentemente bislacco o fantasioso, ma nulla di più.

Quando realizzate una cella di filtro ricordate che state semplicemente disegnando una parte del progetto che deve svolgere un compito importantissimo, ma alla quale è richiesto solo il buon funzionamento e non il tramite per farvi passare alla storia come inventori di cose che prima non esistevano. L’aver verificato negli ultimi trenta anni centinaia e centinaia di realizzazioni, l’aver ricavato schemi e comportamenti dei vari filtri mi consente di affermare che tutti hanno lasciato il proprio segno ma nessuno ha inventato nulla di nuovo. Ogni circuitazione vantata come innovativa ed originale ha un passato di altre realizzazioni simili ed un futuro di imitazioni più o meno sfacciate. Insomma, niente di nuovo sotto il sole per quello che si può combinare con resistenze, condensatori ed induttanze. Almeno per ora.

Cosa ci serve per iniziare a fare un crossover?

Per iniziare a mettere le mani sulle reti di filtro crossover non risulta affatto utile presentarsi a mani nude alla risoluzione dei problemi. Occorrono le conoscenze di base per poter iniziare ed ovviamente anche un minimo di strumenti di laboratorio per poter effettuare misure sia elettriche che acustiche. Non è possibile fare altrimenti. Le reti di crossover fatte “ad orecchio” le lasciamo a quelli che sanno dove e come mettere le mani, che sono pochissimi, mentre le definizioni fantasiose di “orecchio assoluto” e di artigiano del suono senza uno strumento di misura le lasciamo senza esitazione ai dépliant della pubblicità, piena di Energia Potenziale Inapplicata.

Beninteso, chi vuole soltanto fare la conoscenza con le reti di filtro può leggere gli articoli, studiarli con la matita ed il foglio di carta, annotarsi i passi ritenuti più importanti ma tra due mesi avrà dimenticato quasi tutto e sarà al punto di partenza. Per “fare” le reti di filtro occorre una notevole dose di passione, un esercizio anche discontinuo ma fattivo e molta, molta pratica con gli strumenti di verifica e simulazione. Oggi per fortuna gli strumenti a basso costo non mancano: la rete è piena di software di misura e di simulazione e grazie alle schede audio sempre più sofisticate e con le dritte giuste di quelli che stanno in rete ventiquattro ore al giorno è possibile allestire in poco tempo un minilaboratorio che deve solo rappresentare il tramite tra il problema e la sua soluzione.

AUDIOcostruzione sta sviluppando tutta una serie di articoli propedeutici per poter effettuare misure con la conoscenza precisa di quello che si sta facendo, articoli che torneranno utili anche nelle misure elettriche che dovremo necessariamente effettuare. Notate che ho usato il plurale perché la tecnica di verifica strumentale passerà spesso per queste pagine. Allora ripetiamo: ci serve un microfono, non necessariamente precisissimo, un software di misura, uno di simulazione, il saldatore, qualche cavetto. Se possibile potremmo procurarci anche un ponte RLC, tanto per verificare velocemente i valori dei componenti. Non dovrà mancare nemmeno un preciso strumento per la misura delle resistenze di valore contenuto e per quella di perdita delle induttanze.

Tranquilli, strumenti per il puntamento dei satelliti militari servono. Ovvio che dovendo cercare “in casa” io utilizzerò per questi scritti Audio For Windows rifacendomi per le misure a quelle disponibili sia nel mio laboratorio di Avellino che in quello di NewMediaPro. Cercheremo nel corso del corso, se mi passate il gioco di parole, di instaurare collegamenti stretti con i fornitori che dispensano la componentistica di cui abbiamo bisogno, cercando di stabilire un “canale preferenziale” per i lettori che ci seguiranno. Altro “aiutino” ci verrà dalla rete e soprattutto dal forum, che può tranquillamente interagire con le nostre cose, con le richieste accessorie e con la soluzione dei problemi che si dovessero presentare. L’importante, secondo me, è stabilire un protocollo unico di azione e verifica, in modo da non avere né fraintendimenti né interpretazioni diverse dello stesso fenomeno o della sua soluzione.

Prima di entrare nel vivo della discussione, ed a costo di ripetermi, vi faccio notare che non si possono comprendere veramente le reti di filtro e non se ne può ricavare una esperienza vera se non se ne fanno tante, se non si provano le innumerevoli varianti e se non si verifica quanto simulato. I progettisti sulla carta e soltanto su questa non sono mai andati troppo lontano. Va notato ancora che l’asserzione secondo la quale si può saltare tutta la teoria e la pratica delle reti di filtro utilizzando un crossover elettronico è destituita di ogni fondamento sia logico che funzionale, tanto che ve ne accorgerete da soli man mano che andremo avanti nelle nostre discussioni.

Prima di partire

Prima di avventurarci nella progettazione di una rete crossover dobbiamo avere chiari alcuni concetti, magari poco simpatici ma che dobbiamo comunque tenere presenti per non correre il rischio di non ottenere quello che ci eravamo prefissi di realizzare. In queste premesse valgono le leggi del comune buon senso che ci consente di giungere pronti alla realizzazione di un progetto. Innanzitutto va detto che il progetto e la realizzazione di un filtro crossover deve bilanciarsi perfettamente in tutto quello che è venuto prima e con quello che segue. Che voglio dire? Semplice! Che è del tutto inutile, ad esempio, utilizzare soluzioni avveniristiche e sofisticate se non ne siamo capaci, così come è inutile utilizzare componenti di filtro sofisticati se il progetto a monte è stato pensato con componenti supereconomici montati in un box costruito con le pareti di truciolato a grana grossa.

In buona sostanza la sequenza parte o da quello che vogliamo ottenere come qualità del suono o dagli altoparlanti che abbiamo acquistato o vorremmo acquistare. Spendere 50 euro per un woofer e 60 euro per acquistare l’induttanza che lo deve filtrare rappresenta un classico paradosso che va evitato. Una volta conosciute le dimensioni degli altoparlanti, il tipo di diffusore che vogliamo realizzare e la sua configurazione di carico dobbiamo rifarci alle misure utili per poter capire se gli altoparlanti in nostro possesso possono svolgere il compito che gli vorremmo assegnare. Per questo basta leggere il numero uno di AUDIOcostruzione e cercare di utilizzare lo stesso setup di rivelazioni che utilizziamo per l’archivio.

Quando abbiamo stabilito le modalità di carico acustico (sospensione, bass reflex, o altro) diamo una prima stesura del disegno del cabinet, così da conoscere in prima battuta le dimensioni probabili. Una variante può essere rappresentata dalla “confidenza diretta” degli altoparlanti a seguito di sedute di ascolto su altri progetti o semplicemente su un pannello di sufficienti dimensioni. Devo ammettere che spesso ho scartato altoparlanti solo per il fatto che il primo ascolto non mi aveva completamente convinto o per la timbrica o per caratteristiche non in linea con quello che avevo in mente di realizzare.

Altro concetto che si sta assolutamente perdendo di vista è quello della completezza e dell’autosufficienza del progetto preventivo. Tutte le tecniche che possiamo mettere in campo ci servono per poter definire un progetto che deve essere completo al novanta per cento. Il giudizio finale spetta e spetterà per lungo tempo sempre all’orecchio, alle interazioni col nostro o con l’altrui ambiente di ascolto e col gusto musicale di chi deve utilizzarlo. Lo so, e lo sapete anche voi che in linea teorica un diffusore non dovrebbe avere una sua personalità ma essere completamente trasparente alla musica che lo attraversa, ma sappiamo altrettanto bene che chi progetta un diffusore a due vie da sette litri caricato in reflex certo non aspira ad ascoltare a pieno volume le sinfonie di Skostakovich o quelle di Mahler oppure i più casalinghi concerti di Ligabue ad improbabili livelli live.

In buona sostanza quello che vogliamo ottenere lo dobbiamo sapere prima di accostarci ad un progetto, impegnativo o facile che sia. Certo che se ci accostiamo ad un progetto per pura curiosità o divertimento va bene tutto e tutto quello che riusciremo a fare contribuirà a farci divertire ed a farci appassionare ancora di più all’autocostruzione. Per fortuna anche un crossover non proprio perfetto farà suonare in maniera più che accettabile la nostra creatura, ma vi faccio notare che un crossover così così ed uno ottimo costano gli stessi soldi: tanto vale acquisire qualche nozione in più e farlo bene divertendosi ancora di più. Il divertimento, l’entusiasmo costituiscono la base della nostra passione e non hanno un prezzo od un controvalore quantificabile con precisione. Probabilmente questa libertà progettuale costituisce una marcia in più dell’autocostruttore che non deve rispondere a nessuno delle proprie scelte per le sue realizzazioni semplici o evolute che siano. Poi un progetto può sempre evolvere, come il suo progettista, ma senza patemi e senza ansie da prestazione.

 

Perché occorre un filtro crossover?

Funzione primaria di un filtro crossover è quella di inviare all’altoparlante asservito soltanto la porzione di frequenze che è utile che esso emetta. Non tutti gli altoparlanti, anzi pochissimi, possono riprodurre tutto lo spettro di frequenze udibili, da quelle più basse a quelle più alte accettando però limitazioni, compromessi e qualche problema di ordine pratico. Non per questo però si devono stigmatizzare i cosiddetti “larga-banda” capaci di riprodurre, a seconda del carico acustico, un accettabile range di frequenze.

La membrana leggerissima e la conseguente limitata escursione pongono dei limiti alla tenuta in potenza, ma la elevata sensibilità di questi trasduttori compensa in qualche modo questa limitazione. Nei casi più comuni comunque un altoparlante sin dalla sua progettazione nasce per riprodurre al meglio un determinato range di frequenze. Avremo così diverse definizioni di altoparlanti a seconda del range, dell’intervallo di frequenza che sono in grado di riprodurre. I woofer sono dotati di dimensioni notevoli e di membrane mediamente pesanti per poter estendere la loro risposta alle basse frequenze. Questi altoparlanti non riescono ad avere una risposta corretta alle alte frequenze senza che la membrana si “rompa”, un brutto neologismo che non ne indica la fine prematura ma soltanto l’inizio di un moto scomposto e non univoco.

Figura 1

Figura 1

In Figura 1 possiamo vedere la risposta di un woofer non molto grande che comunque non riesce ad avere una risposta regolare oltre i 500 Hz. Naturalmente anche la dispersione, ovvero la capacità di esprimersi correttamente fuori asse, ne risente. I midwoofer sono in realtà woofer di piccolo diametro capaci di comportarsi accettabilmente a bassa frequenza. Il vantaggio della dimensione contenuta consente loro di avere una risposta meglio definita e più lineare alle medie frequenze con una regolarità ed una dispersione che ne consentono il funzionamento fino a 2000-2500 Hz senza eccessive variazioni timbriche, come visibile in Figura 2.

Figura 2

Figura 2

I limiti di questi trasduttori sono da ricercarsi nella risicata estensione in gamma profonda e nella conseguente scarsa tenuta in potenza. Il midrange puro è un tipo di trasduttore che sta piano piano ed incomprensibilmente sparendo. È da considerarsi alla stregua di un tweeter di dimensioni maggiorate, con una cupola che in genere ha una dimensione posta tra i 50 ed i 76 millimetri ed un intervallo di frequenza di funzionamento che come al solito rappresenta un compromesso tra estensione, tenuta in potenza e regolarità della risposta alle frequenze elevate.

Tipicamente un buon midrange viene fatto lavorare tra i 600-700 Hz ed i 5000 Hz, a patto che la dispersione sia quella caratteristica di un driver a cupola. Probabilmente rappresenta il trasduttore più fragile tra quelli visti finora, non soltanto per la sua costruzione quanto per l’uso spesso spropositato che se ne fa. In passato abbiamo avuto ottimi midrange, capaci di una risposta estesa ed abbastanza regolare, come quella visibile in Figura 3.

Figura 3

Figura 3

Infine il componente, assieme al midwoofer, che condiziona maggiormente le prestazioni di un diffusore e che rimane sempre più scolpito nella nostra memoria di ascolto: il tweeter. Il tweeter nasce per riprodurre l’intervallo più esteso delle frequenze audio che vanno da poco oltre i 1000 Hz fino all’estremo altissimo, oltre il convenzionale ma ingannevole limite dei 20.000 Hz come in Figura 4.

Figura 4

Figura 4

Diverse le dimensioni e la tecnologia costruttiva, ma comune la cupola, morbida oppure rigida, che in genere oscilla tra i 19 ed i 38 millimetri. Bene, il filtro crossover deve fare in modo che ad ogni altoparlante giungano soltanto le frequenze che possono essere riprodotte al meglio senza danneggiarlo. È inutile, ad esempio, inviare le frequenze audio più elevate ad un woofer che a mala pena riesce ad andare oltre i 1500 Hz: non le riprodurrà mai ma se il segnale inviato dall’amplificatore è elevato si scalderà lo stesso inutilmente. Viceversa inviare ad un tweeter delle frequenze basse ne provocherà velocemente la rottura.

Ad ognuno il suo, allora. Ad un woofer dovremo inviare soltanto le frequenze basse con una cella di filtro che definiremo passa-basso. Questa cella ha il compito di far passare, dall’amplificatore al woofer, soltanto le basse frequenze fino ad un limite che chiameremo frequenza di incrocio o frequenza di taglio. Incrocio probabilmente è la definizione giusta, perché un secondo compito del filtro crossover è quello di fare in modo che dove finisce l’emissione di un trasduttore inizi quella dell’altoparlante successivo.

Questa transizione deve fare in modo che non ci sia assolutamente perdita di qualche porzione intermedia di frequenze e che la somma di emissioni sia quanto più aderente possibile al segnale originale inviato dall’amplificatore. Facciamo l’esempio di un diffusore a due vie, dotato cioè di un midwoofer e di un tweeter.

Supponiamo che dalle varie prove eseguite abbiamo deciso di “incrociare” i due altoparlanti a 2500 Hz. In questa sede non è importante capire cosa ci abbia condotto a questa decisione. Bene, cosa vogliamo dire con questa definizione? Semplice, che il woofer dovrà terminare la sua emissione a 2.500 Hz e che da questa frequenza in poi sarà il tweeter ad iniziare il suo lavoro fino alla massima frequenza che è capace di emettere. Allo stesso modo in un tre vie avremo un woofer, un midrange ed un tweeter.

Le frequenze di incrocio diverranno due: una tra woofer e midrange ed una tra midrange e tweeter. La cella di crossover connessa tra amplificatore e woofer sarà allora un passa-basso, quella destinata al tweeter sarà un passa-alto, che farà passare soltanto le alte frequenze bloccando tutte quelle al di sotto della frequenza di incrocio. E quella connessa al midrange?

Beh, questa da un lato dovrà limitare le basse frequenze, quelle che deve riprodurre il woofer, e dall’altro dovrà limitare le altissime frequenze che “spettano” al tweeter. Possiamo dire che la cella di crossover del midrange deve essere provvista sia di un passa-alto che di un passa-basso e, con una definizione più rapida, che deve avere un crossover passa-banda, ovvero limitato sia alle frequenze basse che a quelle alte, come visibile in Figura 5.

Figura 5

Figura 5

Caratteristiche dei filtri

Abbiamo detto che, ad esempio, il passa-basso lascia passare soltanto le basse frequenze fino alla frequenza di incrocio e qualcuno potrebbe pensare che dopo tale frequenza non passi più nulla. Purtroppo non è così e per caratterizzare con più precisione un filtro occorre essere bene attenti proprio a quello che avviene nella cosiddetta “banda soppressa” ovvero appena dopo la frequenza di incrocio nel caso del passa-basso. Il filtro tanto teorico quanto impossibile con componenti passivi che attenua indiscriminatamente tutto appena oltre la frequenza di incrocio, il cosiddetto “brick wall”, nella pratica non esiste.

Man mano che aumenta la frequenza e va oltre la frequenza di incrocio la risposta inizia ad attenuarsi più o meno lentamente. La velocità con cui si attenua la risposta man mano che la frequenza aumenta viene definita in un intervallo ben preciso che viene chiamato “ottava”. Si sale di una ottava quando la frequenza semplicemente raddoppia. Ad esempio l’ottava superiore ai 1.500 Hz è quell’intervallo di frequenze che va da 1500 a 3000 Hz. Contando di quanti decibel si attenua la risposta in una ottava dopo la frequenza di incrocio possiamo definire la cosiddetta “pendenza” del filtro. I filtri crossover di cui ci occuperemo agiscono, sempre in teoria, con pendenze multiple di 6 decibel per ottava.

Questa pendenza molto ridotta identifica i filtri del primo ordine caratterizzati proprio dall’essere molto blandi nella fase di attenuazione dopo la frequenza di incrocio. Attenuare di sei decibel per ottava vuol dire in pratica dimezzare l’ampiezza del segnale ad ogni raddoppio della frequenza. I filtri del secondo ordine hanno una pendenza doppia, ovvero di 12 decibel per ottava oppure 12 dB/oct, come scrivono quelli bravi. Così il terzo ordine avrà 18 dB/oct ed il quarto ben 24 decibel per ottava, come visibile in Figura 6.

Figura 6

Figura 6

Non ritengo sia molto utile andare oltre il quarto ordine, almeno nella realizzazione pratica di tutti i giorni. Giunti a questo punto per individuare le caratteristiche di un filtro crossover dobbiamo conoscere la frequenza di incrocio e l’ordine del filtro, che ci serve per individuare  la sua pendenza: possiamo dire di essere già a buon punto. Per definire totalmente le caratteristiche di un filtro passa-basso o passa-alto ci manca ancora una grandezza, lo smorzamento, che abbiamo già trattato per altre risposte sulle pagine della nostra rivista.

Lo smorzamento

Si sente spesso parlare di smorzamento, e molti ne descrivono le caratteristiche come un buon indicatore di suono corretto. Di cosa si tratta? Al di là della formulazione matematica che, ahimè, saremo costretti a valutare quando poi i filtri li dovremo fare davvero, possiamo dire che lo smorzamento o il suo inverso, il fattore di merito, descrivono la parte centrale della risposta di un filtro, passa-alto o passa-basso che sia. Concentriamoci sulla Figura 7, nella quale ho riportato cinque filtri passa-basso del secondo ordine centrati tutti a 1000 Hz.

Figura 7

Figura 7

Stessa frequenza di incrocio, stesso ordine e quindi stessa pendenza ma diverso fattore di merito, che si indica con la lettera Q. La risposta di un passa-basso vede tre condizioni a seconda della frequenza che attraversa il filtro: la prima parte, quella sulla sinistra, è praticamente rettilinea e trasparente alle frequenze del suono che la attraversano, frequenze che “passano” senza essere attenuate.

La terza parte, quella a destra del grafico, mostra una attenuazione crescente man mano che le frequenze in transito diventano maggiori della frequenza di incrocio. La pendenza di attenuazione dipende, come abbiamo visto, dall’ordine del filtro. Il fattore di merito o lo smorzamento, come potete vedere dal grafico, descrivono con precisione l’andamento della risposta nella zona centrale, quella che potremmo definire di “transizione” tra la risposta piatta di sinistra e quella attenuata di destra.

Le risposte nel grafico con il fattore di merito elevato (Q=1,5 oppure Q=2, ovvero la curva viola e quella marrone) sono un esempio di filtri a basso smorzamento e quindi a fattore di merito elevato. Possiamo notare come producano un picco immediatamente prima della frequenza di incrocio per poi accodarsi alle altre e “pendere” di 12 decibel per ottava. Le curve più in basso, ovvero quella blu e quella rossa, rappresentano bassi valori di Q, ovvero di fattore di merito e quindi le possiamo descrivere come filtri dallo smorzamento elevato.

Lo smorzamento ovviamente ha una sua valutazione all’ascolto, ma preferisco parlarne quando vedremo cosa succede quando sommiamo la risposta acustica dell’altoparlante a quella elettrica del suo filtro crossover, quello che abbiamo disegnato proprio per limitarne la risposta entro un intervallo di frequenze musicalmente ottimale. Già, perché quello che ci interessa è il risultato finale, ovvero acustico, che otteniamo anteponendo un filtro crossover ad un altoparlante. Dal punto di vista matematico diciamo che le risposte del crossover e dell’altoparlante si sommano sia in modulo che in fase dando origine alla risposta acustica totale. Possiamo individuare così uno degli errori più frequenti nella definizione dei crossover.

Molti infatti, anche tra i redattori più o meno navigati, tendono a parlare di risposte, di ordini, di frequenze di taglio e di smorzamento intese soltanto per il filtro crossover e non, come lecito, per la risposta filtrata dell’altoparlante. Infine in Figura 8 possiamo vedere quello che intendo. Utilizzando un woofer dotato della risposta come quella a sinistra a cui viene sommato un filtro crossover con l’andamento visibile al centro otteniamo come somma il grafico di destra, ovvero quello dell’altoparlante filtrato.

Figura 8

Figura 8

Su questo dobbiamo commentare la frequenza di incrocio, la pendenza e lo smorzamento, i tre parametri che ne permettono una quantificazione precisa. In questo caso abbiamo una frequenza di incrocio di 2200 Hz con una pendenza di 12 decibel per ottava ed un fattore di merito che vale 0,5. Lo spazio però inizia a scarseggiare, e sono costretto a rimandarvi alla prossima puntata.

di Gian Piero Matarazzo

Author: Redazione

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1 Comment

  1. Corso bellissimo e del quale non ho perso neanche una puntata.

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