La musica e il suo doppio

Eccolo, pochi l’hanno visto, pochissimi l’hanno ascoltato e nessuno ancora lo possiede, eppure è già l’oggetto del desiderio. Sonus Faber «Guarneri Homage» rompe, direbbe un pubblicitario, gli schemi. In realtà si limita ad umiliare la centralità della tecnologia, il che, se si vuole, è anche peggio. O meglio. E comunque segna l’avvento di una nuova era: l’Umanesimo, in Alta Fedeltà, inizia esattamente qui.

La storia

Mai visto niente di più diabolicamente armonioso? Questo è il lato frontale delle Guarneri Homage, un'avventura non-tecnologica desitnata alle umane orecchie.

Mai visto niente di più diabolicamente armonioso? Questo è il lato frontale delle Guarneri Homage, un’avventura non-tecnologica desitnata alle umane orecchie.

«Ma no, Toni, ascolta: ho scoperto che era un ‘liuto’ quando il Guarneri Homage era già fatto»: mai provato a chiacchierare con Franco Serblin del suo lavoro? Io sì, da molti anni a questa parte; eppure non mi sono ancora abituato a quella sua disarmante, apparente, trasandatezza niente esoterica. Volevo che mi aiutasse a capire che cosa era successo alle spalle di questo formidabile sistema di altoparlanti, per me, per la mia curiosità e anche per la vostra. «Alla fine entrerò – mi ero detto – in quelle segrete stanze», e chissà perché mi aspettavo di essere preso per mano e condotto in un lungo viaggio iniziatico che mi avrebbe
portato la luce. E invece – grazie Franco – sono rimasto felicemente ancorato ad una terra ricca, al solito, di luci e di ombre, di fatica e di sudore, di piacere e d’amore dove poco succede per caso e il rito del tempo si consuma da sé, senza accelerazioni e senza trucchi tecnologici.

«Silicon Valley? No grazie, preferisco Cremona e i suoi laboratori artigiani. La tecnologia mi lascia perplesso»: è tutto chiaro? E racconta una storia, vera, credo. Di una barca da corsa, progettata al computer dalla sartia allo scafo, perfetta, nata per correre e vincere: affondata il giorno del varo in un’acqua troppo densa di variabili non interamente riducibili alla banale semplicità di un linguaggio binario. C’è qualche cosa di biblico in questo naufragio della tecnologia che piace tanto a Serblin; ma non c’è alcun messaggio particolarmente universale in questa metafora del fallimento del vitello d’oro; la sua fiducia nelle mani dell’uomo e nella loro prudente sapienza non sembra un’ancora morale ma la riconferma molto privata di una ‘scienza’ senza alternative, l’unica, quindi, a disposizione dell’uomo e del suo «fare» senza deleghe. Colpa della Padania? Colpa di quella millenaria piattezza immobile e nebbiosa in cui si per dono anche i lineamenti dei colli prealpini? Forse, ma qui sono nati i più straordinari violini della storia del mondo e nessun supercomputer è oggi in grado di replicare quelle voci accordate da gli orecchi di Stradivari e di Guarneri. Francamente, credo che non riuscirebbe a replicare neanche una torta di mele fatta come si deve da una brava cuoca di Piacenza, dal che frettolosamente e umilmente concludo che la tecnologia non è in grado di partorire il Bello e il Buono. E qui sono nate le Guarneri Homage. Quando? Come? Come nascono degli oggetti che, fatti ascoltare al grande pubblico in una saletta del Top Audio milanese di poche settimane fa, hanno strappato applausi a scena aperta, applausi e commozione, in distintamente da tutti i presenti?

Perché in quella saletta acconciata con cura meticolosa e con grande intelligenza è successo «qualche cosa» che in altre sale della mostra non è successo? «Quando? Quando è nata Sonus Faber, quando abbiamo realizzato il sistema Snell», ricorda Serblin, «quando abbiamo deciso di usare le qualità del legno in un rapporto opportunamente musicale con i trasduttori. Noi». Loro. «Ma non avevamo scoperto niente allora; e non abbiamo scoperto niente oggi con le Guarneri Homage, non c’è mistero. Tutto è maturato con il tempo, aggiungi, se vuoi, la mia passione per la liuteria, il pepe, e tre anni di lavoro dall’idea esecutiva alla presentazione». Tre anni di gestazione, non pochi, ma Serblin sdrammatizza e, purtroppo, è convincente; riassumo i concetti senza tradirli:  «Nessuna difficoltà, nessuna geniale intuizione; era tutto già pronto, bastava lasciarlo nascere», come un buon pezzo di Billy Holiday, aggiungo, caldo, sornione, che par che nessuno lo abbia mai composto e che sia sempre esistito tale e quale da quando esiste il mondo, da quando il mondo è stato illuminato dal
cuore dell’uomo; basta ascoltarlo, questo cuore, per sentire che canta.

Molto bello, il viaggio, perché dubitare? Un passo avanti. Prima, Serblin usava doghe della stessa essenza; stessa essenza, stessa risonanza; e ha deciso di usare doghe di essenze diverse; diverse essenze, diverse risonanze per «spezzare» l’egemonia di una risonanza rispetto alle altre. E poi la scelta della qualità delle colle e delle vernici prendendole in prestito alla liuteria cremonese. E quella forma gioviale che farà, vedrete, scuola?

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«Lì ha giocato solo la fantasia. E se togliessimo di mezzo un lato, mi sono chiesto, sta a vedere che va meglio. Non ho avuto paura di rompere una forma consolidata: volevo cambiare e avevo la sensazione che cancellare una parete avrebbe ridotto il consueto sballottamento delle risonanze. Mi pare che avevo ragione, ma non c’è stato alcun particolare studio. Del resto, mi sono detto ancora, qualcuno deve aver avuto il coraggio di costringere un violino o un liuto in quella forma che noi conosciamo». Sì, però quello che Serblin stava costruendo non era un violino ma un sistema di altoparlanti e nel bene e nel male in quei volumi si giocano spostamenti d’aria e vibrazioni in corpi solidi promossi dal movimento di una corrente elettrica attraverso bobine e magneti; e c’è un cancello che smista la corrente verso un paio di rubinetti in dosi calibrate. Insomma, stiamo parlando di un sistema più vicino ad una chitarra elettrica che ad un violoncello.
«Vero, ma le quantità in gioco hanno una voce, anche quelle elettriche, e sono testabili a orecchio prima che sul banco di prova strumentale; tanto è vero che, alla fine, ho anche effettuato delle misure su quel che usciva dalle Guarneri (non ci tengo a fare la parte del ruspante ad ogni costo) solo che i risultati delle misure – che pure mi interessavano molto poco e che non avrebbero avuto alcun potere di indirizzo – erano sorprendentemente positivi, lineari, ne è uscita una risposta senza buchi».

Un woofer nuovissimo, un tweeter ben noto e affidabile. Serblin ha un amico in Danimarca, vecchio e pazzo, che progetta e costruisce trasduttori dinamici – «non gliene importa quasi niente dei soldi e non ha mai goduto di grandi successi commerciali» – e che gli ha già fornito il woofer usato nella premiatissima Extrema. Gli ha fatto anche quello, minimo, infilato nella Guarneri, bellissimo, una meraviglia «e mai avuto dubbi che sarebbe stato perfetto per quel che mi
serviva, si trattava solo di alloggiarlo convenientemente». Occhio al tweeter: «era già eccellente», quel D28 della Dinaudio; modificato su specifiche Sonus Faber è addirittura esattamente ciò che ci vuole, soprattutto dopo averlo ospitato in una camera (con bagno) in acero tutta sua. E il legno? È qui che entra
in scena il secondo grande vecchio della saga Guarneri Homage. Falegnami ce ne sono tanti, ma solo pochi sanno trattare il legno come una cosa viva, pochissimi lo sanno scegliere, ancora meno lo sanno incollare, verniciare, riconoscere al tocco delle nocche delle dita. Serblin è riuscito a garantirsi l’appoggio
di un artista-artigiano che sfiora la settantina: «È un dramma, questo sì; che sappia fare le cose che voglio io c’è solo lui, solo lui sa fare le Guarneri». E già intravedo un mercato antiquario di Guarneri Homage che va a caccia dei primi numeri della serie: auguri di lunghissima vita a questo grande e nobilissimo vecchio, per lui, per questo sistema di altoparlanti e perché collezionisti e mercanti di cose rare e preziose, veri avvoltoi dell’umanità, per dano tutte le loro miserabili piume aspettando l’evento che non arriva. (Va apprezzato lo sforzo compiuto da me per non involgarire, come meritavano, il linguaggio e l’augurio).

Non avevo dubbi – precisa Serblin – neppure sul crossover: ho scelto il solito taglio a sei dB d’ottava; un taglio semplice che suona bene e che pretende trasduttori lineari». E se lo lascio ancora parlare se ne va per la sua strada che è piana, bianca e vagamente uggiosa come quella che quotidianamente deve percorrere con la sua bicicletta (è una sua passione) alle pendici di colli morbidi e rotondi come le poppe di una serena contadina di mezza età. Ferma, Serblin: falla finita con questo clima bucolico insidiato solo dall’età del tuo mago Merlino e vieni alla sofferenza, vieni e racconta i dubbi, le ansie, le stanchezze, perché ci devono essere; il pubblico rumoreggia, non pretende il sangue ma almeno un pizzico di neorealismo, un po’ di sottovesti sgualcite, un po’ di borse agli occhi, un pizzico di azzardo.

Un "liuto", una foglia spezzata, un pezzo di "Flying Dutchman": Guarneri Homage in tutto il suo ambiguo ed evocatore splendore (sul frontale, in basso, il piccolo woofer-gioiello del danese Skaaning).

Un “liuto”, una foglia spezzata, un pezzo di “Flying Dutchman”: Guarneri Homage in tutto il suo ambiguo ed evocatore splendore (sul frontale, in basso, il piccolo woofer-gioiello del danese Skaaning).

«Massi, ho dormito, nei mesi scorsi, più con loro, con le Guarneri, che con mia moglie», bravo Serblin, va già meglio, questo sì che è parlare da uomini; eppoi, lo sapevo che è uno che ama cose e persone; non poteva che finire, come si dice, a letto, fosse anche con un sandwich di essenze diverse capaci di intonare un coro di risonanze non dannose per i segnali musicali. Ma le ha accordate lui, le ha pensate lui, sono figli suoi; cosa c’è di meglio che dormire con i propri figli, almeno fino a che sono piccoli?

Già, li ha accordati lui. Forza, Franco, non farci sospirare, come hai fatto? «Come: è un po’ un segreto. Chiedo scusa a tutti ma è un segreto, vado capito anch’io. Cosa faccio, ecco questo sì: sono io il rabdomante delle vibrazioni e ho intenzione di continuare ad esserlo, per le Guarneri, fino a che avrò mani e cervello per farlo, una dopo l’altra. Uso una sonda, una sorta di parafulmine, e ascolto, e poi lavoro con l’aiuto di lamelle di rame e di piombo e accordo le risonanze fino a che sono soddisfatto, fino a che la voce della Guarneri che sto testando diviene una clonazione della numero 4, del riferimento che ho e avrò sempre in casa».

Però sei un ossessivo, e del resto non saresti riuscito a partorire queste meraviglie se non lo fossi; e quindi qualche problema devi averlo avuto prima di decidere che il gioco era finito, che era venuto il momento del varo… «Se è per questo, dubbi e incertezze ne ho affrontati a vagoni, anche perché mi sono lasciato portare dalla corrente di ciò che stavo facendo. E quando navighi in questi mari non conti le energie che spendi, tendi a non amministrare i pensieri; è una bella eccitazione, ma traditrice, alla lunga ti confonde, ti satura, rischi di averne abbastanza e di accorgertene all’improvviso. Di che cosa? Che sei vuoto
e freddo. C’è un trucco innocente e niente misterioso per non perdere il controllo: avere il coraggio di staccare di tanto in tanto; di lasciare sedimentare esperienze e ricordi per poi riaccendere attenzione e lavoro ma più in là, a mente e sensi sereni, disintossicati». Provo a ripercorrere la strategia di lavoro di Franco Serblin: lui non scopre un trasduttore e poi decide di infilarlo in un bell’abitino; lui decide una forma, perché sarà lei, la forma, a decidere a sua volta la
voce, e poi cerca i trasduttori più adatti a lavorare in quella particolare condizione.

La silhouette del non-lato posteriore. Una filante "poppa" di nave in tiglio nel cui scasso-timone si apre il tubo d'accordo. Più sotto, la gentile, raffinatissima ma robusta morsetteria.

La silhouette del non-lato posteriore. Una filante “poppa” di nave in tiglio nel cui scasso-timone si apre il tubo d’accordo. Più sotto, la gentile, raffinatissima ma robusta morsetteria.

Tutto chiaro; ma c’era un punto che mi restava oscuro in quel suo spiegare, poco fa, a proposito della voglia di cancellare un lato del cabinet tradizionale.  Perché lo ha fatto? Solo una questione «di risonanze»? Ho insistito e ho avuto la risposta: Serblin era stufo di quella forma, del parallelepipedo.

Può sembrare paradossale, semplicistica, ma questa apparentemente banale via di fuga dal consueto è, nella vita di tutti i giorni come nella bottega di un artigiano, la molla che può aprire la porta della novità, che può cambiare una produzione come una vita; era stufo, provava noia. Divina noia, che regalo straordinario; ascoltate la confessione: «Tutto, in quella forma, era già stato fatto. Volevo essere libero da schemi e costrizioni e ho voluto far lavorare solo la fantasia». Non eccitatevi troppo: non basta dire basta, bisogna sapere esattamente a che cosa si dice basta, bisogna conoscere, per averlo fatto proprio, ciò che ci viene a noia, e poi può nascere dell’altro, ma conviene avere dei mezzi solidi, altrimenti si gira a vuoto e si finisce per rimpiangere il passato. Ma un bravo artigiano, stagionato dal tempo e dal lavoro… «Grazie, vorrei che lo dicessi che mi sento e che sono soprattutto un artigiano. Sai cosa faceva mio padre?

Era un artigiano anche lui, faceva carrozze per lo Stato, carrozze in legno. Posso dire di aver in qualche modo iniziato con lui a concepire le Guarneri. E non ho finito: sto pensando ad altre cose bellissime…» … ma questa è un’altra storia.

di Toni Jop


L’Ascolto

«Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi» dopo averle sentite al Top Audio. Che esperienza: è stato come assistere alla liquefazione del sangue di San Gennaro. Al diavolo, sono refrattario alle situazioni che ti schiacciano in un angolo, che ti chiedono passività e che ti concedono solo lo spazio per uno stupore inebetito: mi pare che sotto sotto ci sia sempre uh trucco e che il pifferaio stia per farti precipitare in mare. E mi dico, allora scemo, tirati su, cosa fai con quella «espressione un po’ così»? Va bene, mi sono risposto, mi tiro su, ma almeno lasciami battere le mani; lo so, in tutta la mia vita le ho battute solo davanti ai Beatles; le batto anche questa volta e poi sto fermo per un pacco di anni. Concesso: ho applaudito, io, si, il fratello «duro» di Philip Marlowe e non di fronte ai fianchi di Anita Ekberg, o alla bocca di Nancy Brilli, ma di fronte ad un nulla popolato di suoni, di forme e di spazi. Ai lati di questa scena c’erano loro, le due ineffabili Guarneri Homage, indifferenti, dure, belle come una improbabile coppia di Marlene Dietrich. È andata così, nella saletta del Quark milanese e non solo a me, ma non mi consola. Così, mosso da curiosità e diffidenza, le ho accolte in casa come una donna contro il cui fascino
sai di avere già perso la battaglia eolia quale devi, contemporaneamente, un pizzico di sufficienza se vuoi avere una qualche possibilità di assaggiare anche i suoi sentimenti, se ne ha. Chennesò, forse la mia educazione sentimentale è da buttare, ma io me la tengo.

Siamo in piena era post-tecno. Il tweeter (Dynaudio molto modificato su specifiche Sonus Faber) emerge da un tripudio di essenze lignee accordate e di pelle. E ciò che sta al centro non è più il soggetto.

Siamo in piena era post-tecno. Il tweeter (Dynaudio molto modificato su  specifiche Sonus Faber) emerge da un tripudio di essenze lignee accordate e di pelle. E ciò che sta al centro non è più il soggetto.

«Me le tengo», ho pensato tra me quando ho sballato i pacchi, anche se stanno zitte me le tengo. A parte il fatto che un conto è vederle all’estero e un altro in casa tua: confesso che l’unico aspetto per cui le Guarneri mi danno fastidio è la loro eccezionale disponibilità a entrare in un ambiente domestico senza fare chiasso ma con una classe inconfondibile e, tutto sommato, docile; questo significa che piaceranno in modo offensivamente travolgente alle signore che socchiudono sognanti gli occhi quando ascoltano, dalla voce di Fred Bongusto, l’intramontabile “Rotonda sul mare —, il nostro disco che suona’,’etc. Piaceranno a lorsignore e ai loro fottuti arredo-architetti. Serblin, diotiperdoni. Le ho attaccate a tutto quello che avevo in casa. Il solito piatto Goldmund Studio appoggiato sul tavolino a molle ad aria dell’ingegner Russo, il braccio Goldmund T3F, il fonorivelatore Grasshopper II a bassa uscita; preamplificatore Audio Research SP11 e, finalmente su questa scena, il sistema preamplificatore Gate, macchine italiane fantastiche di cui vi dirò molto meglio e di più in altra occasione ma delle quali devo anticipare questo: ho tra le mani uno dei migliori preamplificatori che abbia mai ascoltato e avendone ascoltati moltissimi e di gran blasone devo concludere che si tratta di uno dei migliori preamplificatori del mondo. Come finali ho usato l’eccellente D300 della Audio Research e una coppia di fa
scinosi e musicali Quad 2. Il tutto condito con cavetteria Siltech, Mit, Sicomin e Myst, adagiato su tavolini della GM di mister Blanda e governato dal condizionatore di rete di Antonio Nincheri. Dimenticavo: tra i finali va iscritto anche quel Goldmund Mimesis 3 elogiando il quale di tanto in tanto magari vi
annoio ma qualche ragione ce l’ho. Ho ripassato, nel corso di giorni e notti, un buon terzo della mia discoteca pur soffermandomi su alcuni longplaying ben noti: «Blue» di Joni Mitchell, «4 way Street», Crosby, Stills, Nash e Young, «Abbey road», Beatles, «Concert in Centrai Park», Simon and Garfunkel, «Someday
my prince will come», Miles Davis, «Fragments», Paul Bley, «High winds withesky», Bruce Cockburn, «Four Drummers Drumming», AlbrechtRiermeier, «David und Igor» Oistrach.

Procedo per punti.

  1. Le Guarneri Homage sono un sistema di alto parlanti tutt’altro che critici. Ciò significa che non hanno bisogno di incroci particolarmente sofferti per manifestare la loro voce; appena inserite in un sistema noto lasciano immediatamente trasparire la diversità del loro modo di trattare il segnale e di restituirlo all’aria.
  2. Non è la prima volta che ci si trova di fronte ad una «scatola» di modeste dimensioni capace di sorprendere per l’estensione, soprattutto verso il basso, delle frequenze audio. Ma è la prima volta che questa estensione occupa omogeneamente, rispetto alle mie capacità percettive, tutte le bande di frequenza che mi interessano. Nelle Guarneri il miracolo avviene «sotto gli occhi di tutti»: dal modesto frontale esce una gamma armonica completa, ricca, senza buchi o salti, coerente nel tempo, soprattutto questo, «coerente nel tempo». Basterebbe questo a meritare loro un trionfo.
  3. La gamma bassa è profonda e potente quanto basta a riprodurre senza affanni, in ambiente domestico anche di vaste dimensioni – non siamo di fronte ad un mini diffusore e nemmeno di fronte ad un midi – tutto quello che è stato inciso dalla nascita della musica riprodotta ad oggi.
  4. La gamma medio alta e quella alta sono trasparenti più che in un ottimo sistema elettrostatico del quale evita quella velatissima nasalizzazione che si  manifesta in un qualunque regime contentivo, e nessuno mi toglie dalla testa che i diaframmi a dipolo soffrano di questo regime.
  5. La gamma media è meravigliosa per trasparenza e pulizia e nulla sembra incrociarvisi mascherando o cancellando.
  6. Ma la qualità che da le ali alle Guarneri proiettandole in un cielo ancora tutto da esplorare è la capacità di tradurre una dinamica naturale depurandola di ogni aggressività riproduttiva. Si apre una situazione del tutto nuova in Alta Fedeltà e l’entusiasmo porterebbe a spingersi in affermazioni apocalittiche, palingenetiche se non si fosse trattenuti da un sano senso del ridicolo: ma vien da dire che l’Alta Fedeltà, così come l’abbiamo conosciuta fino ad ora, è morta e che sta nascendo qualche cosa di nuovo, quanto meno un nuovo parametro riconosciuto il quale le nostre orecchie e connesse, prima o poi, anche il mercato dovranno fare i conti. Non si tratta solo o tanto di generica «naturalezza», quanto di non-aggressività quasi palpabile, quasi misurabile, ai fluidità naturale del messaggio musicale, quanto si vuole drammatico ma finalmente non accentato in modo irregolare dal presenzialismo di alcune particolari doti atletiche dei trasduttori o dal sinergismo spesso eufonico ma traditore degli stessi trasduttori e del cabinet. Quanto meno, il cabinet è morto, è morto come luogo comune, come luogo deputato, al massimo, a sede di esercizi stilistici per renderlo ora domestico, ora graziosamente accettabile dai fottuti architetti delle signore di cui sopra. (Non ce l’ho con gli architetti, fanno il loro mestiere come tutti, ce l’ho con quelli che lo fanno con scarsa passione e si sdraiano troppo presto sui vizi e sui difetti dei loro committenti, come tutti. E figuriamoci se ce l’ho con le signore).
  7. L’immagine prodotta, o restituita, dalle Guarneri è miracolosamente olografica, a condizione che si sia riusciti a posizionarle con garbo: incrociando la linea dei tweeter circa un metro davanti alla punta del vostro naso, avendo badato a porre tra loro almeno un paio di metri d’aria; ma come si allarga e si approfondisce la scena mano a mano che si supera questa misura, mano mano che ci si stacca dalla parete di fondo!
  8. Per doti e accenti particolari, si sostiene spesso che un sistema di altoparlanti riproduce questa o quella musica più o meno felicemente di un altro sistema. Saranno nate «liuto», ma la bellezza con cui trattano la musica folk, rock, blues, jazz è commovente; ho pensato che il primo sistema di altoparlanti al mondo interamente progettato dall’orecchio umano è anche quello più dotato di doti universali, non soffre di idiosincrasie. So che suonerà eccezionalmente bene a valle di una fonte digitale, ma mi rammarico per quanti non avranno il coraggio di agganciarlo alla Madre di tutte le Fonti, un buon giradischi analogico e si perderanno una magia degna, questa sì, di mago Merlino.
  9. Vorrei aggiungere qualche altro flash impressionistico: la voce delle Guarneri è il più potente sedativo che l’inquieto animo dell’audiofilo possa desiderare; la serenità e la ricchezza rinascimentale con cui traducono i suoni schiacciano coscienze e attenzioni in un limbo in cui è possibile trascurare per la prima volta il «peccato originale», la circostanza, cioè, che si sta assistendo ad una finzione, così com’è l’Alta Fedeltà.
  10. Ciò che sanno fare con gli strumenti acustici e con le voci è letteralmente non-descrivibile: se provo a spiegare che riproducono questi messaggi con ‘vivida e inedita plasticità accompagnata ad un esemplare e corretto dimensionamento degli strumenti e ad un loro portentoso collocamento entro spazi definiti tridimensionalmente’, arrossisco per la vergogna; quindi, meglio che non dica cazzate e che mi limiti a chiamare come testimoni i fratelli della costa che hanno diviso, con me al Top Audio, il piacere di fare la conoscenza di questo sistema.
  11. Serblin ne costruisce dieci coppie al mese e, giuro, questa è davvero Alta Velocità, tenuto conto della complessità della messa a punto di queste macchine del suono. Sarà dura riuscire a portarsene a casa una coppia. Auguri a tutti gli sfigati come me, verrà il nostro momento.

T.J.


 

da AUDIOreview n. 132 novembre 1993